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Morte di Giulio Regeni, chiuse le indagini su quattro 007 egiziani

Agli indagati il procuratore capo Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco contestano, a vario titolo, il reato di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio

Giulio Regeni è morto nel 2016 in Egitto

Chiuse le indagini della procura di Roma sulla morte di Giulio Regeni, avvenuta nel 2016 in Egitto. A rischiare il processo sono quattro 007 egiziani. Agli indagati il procuratore capo Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco contestano, a vario titolo, il reato di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio. Per un quinto agente, invece, i pm hanno chiesto l’archiviazione. La chiusura dell’inchiesta arriva a due anni dall’iscrizione sul registro degli indagati. A rischiare il processo sono il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. A quest’ultimo, oltre al sequestro di persona pluriaggravato, sono contestate anche le lesioni personali e l’omicidio del ricercatore friulano.

La ricostruzione

I «quattro indagati - si legge nell’avviso di conclusione indagini - dopo aver osservato e controllato direttamente ed indirettamente, dall’autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni abusando delle loro qualità di pubblici ufficiali egiziani, lo bloccavano all’interno della metropolitana del Cairo e, dopo averlo condotto contro la sua volontà e al di fuori di ogni attività istituzionale, prima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazougly, lo privavano della libertà personale per nove giorni». Inoltre, «per motivi abietti e futili ed abusando dei loro poteri, con crudeltà - si legge ancora nell’atto giudiziario - cagionavano a Giulio Regeni lesioni, che gli avrebbero impedito di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre 40 giorni» e che «hanno comportato l’indebolimento e la perdita permanente di più organi». I quattro, «seviziandolo», hanno causato a Regeni «acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni».In particolare, è la ricostruzione dei magistrati italiani, il maggiore Sharif «cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte». Per il capo della procura di Roma, quelli raccolti nell’inchiesta sono «elementi di prova univoci e significativi": il processo, ha aggiunto Prestipino in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Regeni, sarà «unico» e si svolgerà «in Italia». «Ci sono altri 13 soggetti nel circuito degli indagati, ma la mancata risposta ai nostri quesiti da parte delle autorità egiziane ci ha impedito di proseguire negli accertamenti», ha spiegato in Commissione il pm Colaiocco, il quale, durante l’audizione, ha citato anche una delle testimonianze raccolte durante le indagini, con la quale è stato affermato di aver «visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace».

La famiglia

Dopo 5 anni, quello raggiunto oggi è «un punto di partenza», ha detto il legale della famiglia Regeni, l’avvocato Alessandra Ballerini, sottolineando che «vogliamo tutti gli anelli della catena». In conferenza stampa a Montecitorio, con i genitori di Giulio Regeni - Claudio Regeni e Paola Deffendi - in videocollegamento, l’avvocato Ballerini è tornata a chiedere al governo di «richiamare immediatamente l’ambasciatore per consultazioni in Italia, dichiarare l’Egitto paese non sicuro e bloccare la vendita di armi», perché «la giustizia non è barattabile, senza giustizia non ci sono nè diritti nè libertà». È dall’ottobre 2019, ossia dall’incontro con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che non ci sono più stati contatti tra il governo e la famiglia Regeni. «Ci auspichiamo un cambio di rotta - ha detto il padre di Giulio Regeni - ma questo non si intravede nei fatti», mentre la mamma di Giulio si è rivolta alla Commissione parlamentare d’inchiesta affinché si faccia «chiarezza sulle responsabilità italiane: ci riferiamo alle "zone grigie". Cosa è successo nei palazzi italiani in quei giorni? - si è chiesta la signora Regeni - Cosa non ha funzionato e un cittadino italiano non è riuscito a essere salvato in un Paese che era amico e che è ancora amico?». E parlando alla stampa: «Lavorate e parlate dell’Egitto, e chiedete ai nostri politici 'cosa state facendo?». Alla conferenza stampa ha preso parte anche il presidente della Camera, Roberto Fico: «Quella di oggi è una tappa importantissima di un lungo percorso difficile, ora bisogna andare avanti fino alla fine», ha detto, sottolineando che «tutti, parlo dello Stato italiano nel suo complesso sta lavorando per la ricerca della verità. Se affrontassimo la questione con l’Unione europea, penso si arriverebbe prima al risultato».

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