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Coronavirus: studio a Cogne, il 65% dei contagiati ha perso gli anticorpi in 6 mesi

"Reinfezioni possono essere anche gravi, il lockdown salvò il Comune"

In poco tempo si possono perdere gli anticorpi per Covid-19 e i sintomatici guariti possono riammalarsi, anche in modo grave. Da uno studio sulla popolazione di Cogne (Aosta), emerge che a distanza di sei mesi il 65% degli abitanti entrati a contatto con il virus durante la prima ondata ha perso le difese sviluppate. Due di loro, inoltre, si sono nuovamente contagiati. Nel giugno scorso 850 cittadini sui 1.300 totali avevano aderito allo screening di massa voluto dall’amministrazione comunale. Appena in 31 erano risultati positivi al test sierologico e solo cinque avevano avuto sintomi, senza casi gravi. Dal secondo esame svolto a dicembre, solo sui 31, le difese erano sparite in due casi su tre.

Così i sintomatici hanno perso gli anticorpi

«I sintomatici hanno perso gli anticorpi come tutti gli altri. La risposta immunitaria dell’organismo al virus è molto soggettiva», spiega Fabio Truc, fisico che si occupa di oncologia sperimentale all’Università Parigi XIII e che ha condotto lo studio con Gianpiero Gervino, del dipartimento di Fisica dell’Università di Torino. Dei due casi di reinfezione, ne è stato seguito uno in particolare. «Un soggetto di una settantina di anni, tra i sintomatici, - spiega Truc, che è originario di Cogne - guarisce a casa tra marzo e aprile. A giugno risulta positivo al test sierologico e a novembre si reinfetta, finendo in terapia intensiva. Questo dato emerge nella letteratura internazionale: le reinfezioni il più delle volte sono gravi, è un meccanismo che si può attivare nel sistema immunitario».

Il lockdown precoce ha salvato molte vite

Ma lo studio restituisce anche un altro risultato, «il grande valore del lockdown precoce». La ricerca era iniziata per capire se alla base dei soli 31 positivi al sierologico durante la primavera ci fosse una componente genetica. Ma i numeri di contagi e decessi registrati nella seconda ondata hanno fatto capire che a inizio 2020 «il virus non si è propagato a Cogne perché, su decisione del Comune e degli albergatori, tutto era stato chiuso il 4 marzo, in anticipo rispetto al lockdown disposto dal presidente Conte» il 9 marzo. «Il primo caso sintomatico è del 10 marzo: presumendo un periodo di incubazione di 8-10 giorni, si arriva al primo marzo, quando la Valle d’Aosta era invasa dai turisti».

Novelli: contro le variazioni investire su diversi anticorpi

«E' davvero opportuno che la scienza riceva fondi per la ricerca su diversi tipi di anticorpi monoclonali, perchè abbiamo bisogno di soluzioni differenziate». Lo sottolinea all’AGI Giuseppe Novelli, genetista presso l’Università di Roma Tor Vergata, commentando le dichiarazioni del CEO di Eli Lilly, Dave Ricks, secondo cui la mutazione africana di SAR-CoV-2 potrebbe eludere il farmaco anticorpale sviluppato dall’azienda farmaceutica. «Alcuni monoclonali, essendo estremamente specifici - spiega Novelli - riconoscono solo un pezzo della proteina virale, per cui, in caso di mutazioni che interessano proprio quel tratto, è inevitabile che queste sezioni potrebbero non essere riconosciute. Per questo dobbiamo avere a disposizione tipi diversi, laboratori diversi, piattaforme diverse, che possano assicurare la disponibilità di soluzioni anticorpali differenziate e più complete». Il genetista aggiunge poi che in uno studio sottoposto a revisione in via di pubblicazione, il suo laboratorio si sta impegnando a dimostrare che alcune delle soluzioni in via di sviluppo potrebbero non essere efficaci contro determinate mutazioni, compresa la variante africana. «La nostra piattaforma - conclude Novelli - ha proprio lo scopo di modulare e cambiare le forme degli anticorpi in caso di mutazioni, senza ripartire da capo, come accade con le tecnologie tradizionali. Avere un arsenale di soluzioni anticorpali a disposizione è fondamentale tanto quanto è importante poter contare su diversi tipi di vaccini. Per questo sarà necessario lo stanziamento di fondi».

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