E’ stato accolto dalla Cassazione il ricorso della procura di Palermo contro la sentenza dello scorso aprile che aveva indennizzato l’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada - condannato per concorso esterno in associazione mafiosa a 10 anni di carcere - con 670 mila euro per ingiusta detenzione. Ora la Corte di Appello di Palermo, che aveva accolto la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione, dovrà riesaminare la sua decisione.
La quarta sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza della Corte d’appello di Palermo che aveva riconosciuto a Bruno Contrada il risarcimento per ingiusta detenzione, quantificandola in 667mila euro. La decisione della Corte è giunta oggi dopo una camera di consiglio svolta ieri, in cui sono stati esaminati i ricorsi della procura generale di Palermo e dell’Avvocatura dello Stato (per conto del ministero dell’Economia) contro la pronuncia dei giudici palermitani depositata lo scorso aprile. La Corte d’appello di Palermo, dopo che saranno depositate le motivazioni della sentenza della Cassazione, dovranno quindi riesaminare la questione.
«Aspettiamo di leggere le motivazioni per un esame più approfondito, ma è evidente fin d’ora che la Corte di legittimità non ha dato esecuzione alla sentenza di Strasburgo, secondo cui il dottor Contrada non andava nè processato, nè condannato», dichiara l’avvocato Stefano Giordano, difensore di Contrada, che aggiunge: «Ora la palla passa nuovamente alla Corte d’appello palermitana. Ma, comunque andrà a finire la vicenda, è probabile che Contrada non vedrà mai un centesimo di quanto gli spetta, considerate la sua età e le sue condizioni di salute e la lunghezza dei tempi processuali. Comunicheremo al comitato dei ministri del Consiglio di Europa l’esito odierno che va in contrasto con la decisione di Strasburgo».
Il risarcimento per ingiusta detenzione era stato disposto dalla Corte d’appello di Palermo a Contrada alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva riconosciuto la ineseguibilità della sua condanna a 10 anni per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che all’epoca dei fatti non era sufficientemente definito con chiarezza dalla giurisprudenza.
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