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Via libera ad AstraZenaca da 18 a 55 anni. Il vaccino che parla italiano

Il vaccino di AstraZeneca è stato approvato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) con l'indicazione per l’utilizzo preferenziale dai 18 ai 55 anni. Si apprende dall’Aifa. Il nome di questo vaccino, come sempre nelle fasi di sperimentazione, è impronunciabile: ChAdOx1 nCoV-19. Ma al di là di questo, il frutto del lavoro messo a punto nei laboratori dello Jenner Institute dell’Università di Oxford, in collaborazione con l’Oxford Vaccine Group, e con il rilevante contributo tutto italiano della Irbm di Pomezia, è una delle speranze più concrete per debellare il coronavirus. Dopo il mezzo pasticcio dello studio clinico di fase III che «per errore» ha scoperto un’efficacia maggiore con una dose e mezza anziché due dosi, e lo stop alla somministrazione per gli over 65 in Germania (troppo pochi i dati su questa fascia di età), il vaccino già in distribuzione da inizio gennaio in Gran Bretagna sbarca anche nell’Unione Europea con il via libera dell’Ema. Ogni Paese è chiamato a dare il proprio ok per l’impiego tra i suoi confini, ed oggi ecco quello italiano.

Il vaccino si basa sulla tecnica del «vettore virale», ossia l’utilizzo di un virus simile a quello che si vuole prevenire ma non aggressivo, a cui si «incollano» le informazioni genetiche che si spera facciano scattare la risposta immunitaria dell’organismo. Ed è proprio questo che fanno nei laboratori di Pomezia: l’Irbm è uno dei leader globali nella produzione di vettori virali.
Questo vaccino in particolare utilizza un vettore virale di scimpanzè con deficit di replicazione basato su una versione indebolita di un comune virus del raffreddore (adenovirus), che causa infezioni negli scimpanzè e contiene il materiale genetico della proteina spike Sars-CoV-2. Dopo la vaccinazione, viene prodotta la proteina spike superficiale, la quale attiva il sistema immunitario affinché attacchi il virus Covid-19 se questo dovesse in seguito infettare l’organismo. Il vettore adenovirus ricombinante (ChAdOx1) è stato scelto per generare una forte risposta immunitaria già da una singola dose e non è replicante, non può quindi causare un’infezione nell’individuo vaccinato. I vaccini prodotti con il virus ChAdOx1 si sono dimostrati ben tollerati, sebbene possano causare effetti indesiderati temporanei, come febbre, sintomi simil-influenzali, mal di testa o dolore al braccio.
La capacità produttiva totale è attualmente pari a due miliardi di dosi. Di certo per l’Italia soprattutto il via libera sarebbe stata una boccata d’ossigeno, se non fosse che l’azienda nei giorni scorsi ha annunciato un taglio-monstre nelle forniture previste in Europa, fino al 60%. Sulla carta l’Italia ha prelazionato 40,38 milioni di dosi, e proprio il siero di AsteaZeneca avrebbe dovuto fare la parte del leone nel primo trimestre nei piani del commissario straordinario Arcuri. Perso il primo mese, si tratterà ora di accelerare per affiancare le dosi settimanali inviate da Pfizer, circa 400mila, e quelle, per ora poche decine di migliaia, che ha iniziato a inviare Moderna.

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