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Alla mensa dei poveri fanno la fila anche le prostitute

Le donne e le trans costrette a vendersi sulle strade di Milano sono diventate, in questi mesi di pandemia, sempre più vulnerabili e ricattabili e quindi subiscono violenze e abusi ancora maggiori che nel passato. Allo stato di schiavitù in cui sono tenute, che comprime se non annulla la loro libertà di avere relazioni al di fuori dell’ambiente che le tiene sotto scacco, si è aggiunto anche un livello di miseria materiale che non ha precedenti. Al punto che la gran parte di loro, il 70%, è dovuta ricorrere a forme di aiuto, come quello alimentare, di cui non aveva avuto bisogno prima. E’ il risultato dell’ultimo rapporto della Caritas Ambrosiana sulla prostituzione, e della ricerca condotta da Avenida, l’associazione che si occupa specificamente delle vittime di tratta.

I dati dimostrano il cambiamento in corso, dovuto al lockdown. Diminuiscono le prostitute nigeriane (17%), la terza nazionalità dopo quella albanese (21%), a causa dello stop degli sbarchi sulle coste italiane dal 2018 in poi. Le donne che non sono riuscite ad attraversare il Mediterraneo sono rimaste prigioniere nei campi di detenzione libici e lì, per sopravvivere e sperare di raccogliere i soldi sufficienti a continuare il viaggio, si offrono ai loro stessi carcerieri. Nel frattempo, inoltre, la mafia nigeriana, molto strutturata e capace di controllare insieme alla tratta anche il traffico di droga, ha riorganizzato i flussi. Da quando la rotta mediterranea si è interrotta, i clan malavitosi hanno trovato più conveniente orientare le donne, in genere reclutate nei villaggi rurali dello stato di Edo, verso gli altri paesi subsahariani. In particolare uno sbocco che è risultato molto profittevole è stato il Niger dove le ragazze vengono costrette a vendersi agli uomini impegnati nell’estrazione dell’oro nelle miniere.

«Il Coronavirus ha accelerato un processo che era in corso da tempo: la prostituzione si è ancora di più spostata dalla strada all’indoor e all’online, fenomeno che di per sè rende le vittime ancora più invisibili, difficilmente avvicinabili se non dai clienti e sfruttatori, e quindi più sole - osserva suor Claudia Biondi, responsabile dell’area tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana -. Ma è successa anche un’altra cosa. Una parte di loro, quella più povera e meno attrezzata, sfruttata da sedicenti 'fidanzatì, che operano in proprio o affiliati a micro gruppi criminali poco organizzati, non è riuscita ad adattarsi al cambiamento e oggi vive in condizioni di emarginazione ancora maggior che nel passato». E’ quanto accade, in particolare, tra i membri della comunità rumena, da anni la principale nazionalità delle donne che Caritas Ambrosiana intercettata in strada che conferma il suo primato anche nel 2020 con il 53% di presenze. «La crisi sociale che si è aperta con la pandemia non può essere un alibi per dimenticarsi degli ultimi, ma al contrario deve essere un’occasione per ripartire da loro», sostiene infine il presidente della Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti.

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