Sarà impossibile scardinare, o comunque contenere, l’istinto corporativo che alberga nell’umanità italiota se si continua ad avallare pretese che allignano nelle pulsioni egoiste. Sono spinte centrifughe che tendono a separare una logica collettiva dalla propensione tribale al sorpasso, alla rivendicazione di una corsia preferenziale, implicitamente da negare ad altre categorie che devono continuare a stare in fila per tre.
Così nella seconda fase della campagna vaccinale, scaglionata in sei categorie delimitate da criteri ben precisi (anagrafici, patologie…), è stato assegnato un lasciapassare a coloro i quali reggono il peso dei “servizi essenziali” nell’interesse pubblico. Sacrosanto. E quindi forze dell’ordine e personale scolastico. Solo che al nucleo dei servizi essenziali si è agganciata una pletora di rivendicazioni, carovana in marcia verso il vaccino promesso. Tutti a invocare il bollino “categoria a rischio”, anticipando i tempi per alzare lo scudo protettivo contro il virus. Le ragioni sono fondate, le carte in regola, il teorema dimostrabile. Ma sempre in una strisciante logica che delinea la conventio ad excludendum, soprattutto in una fase in cui le scorte dei vaccini sono limitate, configurando un’Arca con posti numerati e inviti riservati. E allora porte aperte ai farmacisti, agli avvocati, ai magistrati. Per carità tutti servitori dello Stato essenziale.
Ma forse, se ci fosse un indice di utilità per misurare il livello di priorità, le cassiere dei supermercati e gli autisti del trasporto pubblico - per esempio - avrebbero diritto a un punteggio più alto. Come gli addetti alla sicurezza negli aeroporti. Eppure devono attendere il loro turno, esponendosi così al rischio diluvio. Per loro le porte dell’Arca non si aprono. Nell’anticamera i giornalisti scalpitano, i commercialisti rumoreggiano, i notai si sono incupiti. La carovana è ormai serpentone, lungo corteo di dimostranti, “coda alla vaccinara”. Una sorta di remake neoCovid della scena in cui Totò usava un escamotage per distrarre le persone che lo precedevano in fila, imposta dalle restrizioni alimentari, durante la guerra: «Signore lo vede quel puntino? Forse un aeroplano…». E intanto avanzava, gli altri guardavano in alto mentre lui era già dentro la bottega con la sua tessera annonaria. Era il film del 1955 “Siamo uomini o caporali”.
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