Sono «l'anello» imprescindibile di un servizio, il food delivery, che in questi mesi di pandemia e lockdown ha svolto «una funzione fondamentale» consegnando a casa il cibo e permettendo a «molte imprese di non chiudere». Ora «non è più il tempo di dire» che i rider «sono schiavi, ma che sono cittadini». Parole dure che il procuratore Francesco Greco ha usato per spiegare la mossa degli inquirenti milanesi: al termine di una prima fase di indagine "pilota" sul fenomeno, hanno deciso di imporre a quattro colossi del settore di regolarizzare i contratti di oltre 60mila ciclofattorini, da trattare come lavoratori «coordinati e continuativi» e non più come «autonomi» senza garanzie. «Siamo sorpresi dalle dichiarazioni e stiamo analizzando e approfondendo i documenti che ci sono stati forniti e valuteremo ogni azione conseguente», ha affermato in una nota Assodelivery. Mentre per Deliveroo «i documenti trasmessi fanno riferimento a vecchi contratti: dal novembre 2020, infatti, i contratti dei rider che collaborano con Deliveroo sono disciplinati da nuovi contratti individuali che fanno riferimento al CCNL Rider».
Dopo approfonditi accertamenti iniziati a Milano nel luglio 2019 per i molti incidenti stradali che coinvolgevano i rider, l'inchiesta, coordinata dall’aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Maura Ripamonti, si è allargata a tutta Italia con i carabinieri del Nucleo tutela del lavoro, guidati a Milano dal comandante Antonino Bolognani, che hanno sottoposto questionari sulle condizioni di lavoro ad oltre mille ciclofattorini. Ne è uscito il quadro di un «sistema», come hanno messo nero su bianco i pm, che «si fonda su una pressione continua sul lavoratore» che «non può sottrarsi per evitare di essere retrocesso o addirittura espulso». Sono state esaminate le posizioni di oltre 28mila rider di Foodinho-Glovo, di circa 8.500 di Uber Eats Italy, di circa 3600 di Just Eat Italy e di quasi 20mila di Deliveroo Italy.
Il racconto e le storie dei rider
«Sono disponibile 7 giorni su 7, per circa 10 ore al giorno. E in cinque anni che faccio questo mestiere, anche nei mesi più tosti, non ho mai superato i 1000 euro lordi». Giuseppe, 30 anni, fa il rider a Torino per due società di consegne a domicilio, Just Eat e Deliveroo. «Come faccio ad accontentare entrambe? Faccio i salti mortali, letteralmente. Passo col rosso, vado sul marciapiede. Insomma, corro il più possibile per arrivare prima, perché tutto si concentra nelle stesse fasce orarie, a pranzo e a cena». Le due piattaforme, spiega, funzionano con sistemi diversi: «In entrambi casi la precarietà è massima e la certezza di lavorare è inesistente». Deliveroo, infatti, ha introdotto il sistema del "free login": il rider si collega la mattina, si rende disponibile e aspetta che arrivino gli ordini. Il più delle volte, per ottenere un numero soddisfacente di consegne, si resta collegati per almeno dieci ore. Inoltre, il sistema funziona sulla base della distanza tra il rider e il ristorante e questi, di solito, si trovano nei centri cittadini. «Io vivo in periferia, quindi ogni mattina mi avvicino verso la stazione di Porta Nuova a Torino. E mi metto in attesa».
Nel caso di Just Eat, è l’azienda ad assegnare i turni, a partire dal giovedì della settimana precedente, per un totale di 15 o 20 ore settimanali. Un massimale che prima era possibile superare, quando l’azienda offriva la possibilità di aumentare le ore, per esempio in occasione di eventi televisivi particolari, o nel week end, o in caso di rinunce di altri rider. Ma da qualche mese a questa parte, il meccanismo è diventato una ghiotta occasione per gli hacker. «Sui canali Telegram o altri, girano dei 'bot', ovvero delle applicazioni informatiche che consentono di aggirare questo meccanismo, a un costo che va dai 60 ai 100 euro. Insomma è diventata una guerra tra poveri. Se vuoi lavorare, devi poterti permettere di spendere». L’anno scorso è stato introdotto il contratto collettivo nazionale del lavoro per i rider, che fissa a 10 euro l’ora il minimo percepibile, firmato da Assodelivery e il solo sindacato Ugl ma contestato da molti. «Per ottenere quella cifra non basta essere disponibili, bisogna pedalare per un’ora, per esempio per una consegna in periferia. Il più delle volte una consegna dura mezz'ora, quindi vieni pagato 5 euro, o 15 minuti, quindi 2,50 euro». Giuseppe ha continuato a svolgere il suo lavoro anche nei mesi più bui dell’emergenza coronavirus, quando tutto il mondo era barricato in casa, e negli ultimi tempi ha visto aumentare il numero di persone disposte a fare questo mestiere. «Tantissimi che oggi fanno consegne lavoravano nella ristorazione, o in aziende che hanno chiuso i battenti per via della crisi generata dal virus». Sui rischi per la propria salute nel lavorare durante la pandemia, sottolinea: «Il nostro non è un atto di eroismo, ma una necessità. Condivido la casa in affitto con altre sei persone e di certo non posso permettermi di stare a casa a panificare o a guardare serie tv all’infinito.»
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