L’Italia ha perso nel 2020, anno dell’arrivo della pandemia da Covid, oltre 39,2 miliardi di salari e stipendi con un calo del 7,47% sul 2019, il dato peggiore nell’Ue a 27. L’Eurostat pubblica nelle tabelle sui principali componenti del Pil i dati sulla massa salariale, secondo i quali l’Italia è passata da 525,732 miliardi nel 2019 a 486,459 nel 2020. Nello stesso periodo in Francia sono stati persi 32 miliardi, ma su una massa salariale più ampia, passata da 930 a 898 miliardi (-3,42%). In Germania sono stati persi dai lavoratori dipendenti appena 13 miliardi su oltre 1.500 (-0,87%) mentre nell’Ue a 27 il calo del monte salari è stato dell’1,92%. Il dato in Italia è legato al lungo periodo di lockdown deciso dal Governo per evitare il contagio all’inizio dell’epidemia e alle altre restrizioni decise successivamente per contenere la diffusione del virus con centinaia di migliaia di posti di lavoro persi (soprattutto tra i lavoratori con contratti a termine) e milioni di persone in cassa integrazione e quindi con buste paga più basse.
Il blocco dei licenziamenti e il massiccio utilizzo degli ammortizzatori ha fatto sì che la situazione per i lavoratori dipendenti non fosse ancora peggiore. Per questo i sindacati chiedono che sia prolungato il blocco dei licenziamenti e che siano messi in campo investimenti per rilanciare l’economia. La massa dei salari in Italia a prezzi correnti nel 2020 (486,59 miliardi) è inferiore ai livelli 2016 (quando era a 490,6 miliardi) e di fatto azzera la crescita registrata sui salari a partire dal 2015 con la decontribuzione sulle assunzioni introdotta dal Governo Renzi. Nello stesso periodo nei maggiori paesi Ue la riduzione è stata minore, mentre in alcuni come l’Olanda si è registrato addirittura un aumento della massa salariale (+3,29%).
Un calo paragonabile a quello italiano lo ha avuto la Spagna con 28,37 miliardi di stipendi in meno pari a un calo del 6,44% ma con una riduzione più sostanziosa dell’occupazione. In Spagna nell’anno della pandemia si sono persi quasi 600mila occupati a fronte dei 464mila in meno in Italia, dati che comunque non tengono conto delle nuove regole di calcolo secondo le quali chi è in cassa integrazione da oltre tre mesi non è considerato occupato. I contributi sociali dei datori di lavoro sono diminuiti dai 194,2 miliardi del 2019 a 184 nel 2020 con una riduzione del 5,24%. Nello stesso periodo in Ue i contributi sociali, sempre a prezzi correnti si sono ridotti dell’1,37%. Tra il 2019 e il 2020 il prodotto interno lordo a prezzi di mercato (prezzi correnti) secondo Eurostat è diminuito da 1.790,94 miliardi a 1.651,59 con un calo del 7,78% (-8,9% la contrazione calcolata invece dall’Istat in volume). «Le importanti misure di protezione del lavoro e del reddito, prese in questi mesi di pandemia - sottolinea la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti - non hanno però potuto impedire né la perdita di posti di lavoro, né il calo del reddito dei lavoratori, messo a dura prova da molti mesi di cassa integrazione. Investimenti pubblici e privati e piano di assunzioni a partire dai settori pubblici sono necessari e urgenti». «La prospettiva di uno sblocco dei licenziamenti - avverte il segretario confederale della Cisl Giulio Romani - non potrebbe che peggiorare la situazione» sulla massa salariale "sia in termini assoluti che comparativi. Anche la Uil chiede di confermare il blocco dei licenziamenti «senza il quale il dato sarebbe più grave» e di rinnovare al più presto i contratti nazionali. Il sindacato sostiene anche la necessità di «agire sulla leva fiscale procedendo alla riforma dell’Irpef», che "pesa per oltre il 90% sulle spalle dei lavoratori dipendenti e dei pensionati».
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