Si apre. Gradualmente, fase dopo fase, in direzione contraria alle raccomandazioni del nucleo scientifico che predica prudenza e invoca un altro giro di restrizioni per scongiurare il precipizio. Draghi ha deciso di uscire dalla caverna di Platone, dove le percezioni hanno stordito gli italiani, proiettando una realtà drammaticamente caleidoscopica, imprigionando il Paese in un recinto di incognite laceranti. Ci rifugiamo nella confusa gerarchia dei vaccini, puntando sulla credibilità di una soluzione che dopo qualche ora rischia di ripiombare nel regno delle ombre. Camminiamo bendati, navighiamo a vista sulle scie tortuose lasciate da eminenze cattedratiche, riclassificate in indovini dalla pandemia, come quelli incontrati da Dante all’Inferno. E così noi profani vaghiamo aggrappati a una mascherina di dubbia provenienza che non regge più la maschera che siamo costretti a indossare. In questa bolgia di precarietà il governo nazionale ha scelto di affrontare il tornante che dovrebbe immetterci nella progressiva “normalità”. Giusto? Sbagliato? Un azzardo incosciente? Le categorie colorate hanno rivelato i loro limiti. La candida Sardegna, dopo aliti di vita, è diventata paonazza per i contagi. Tre settimane di rosso (pallido) in alcune città non hanno placato la fame del Covid. Anzi. La Germania ha stretto la cinghia e si ritrova tallonata dal virus. E noi? Siamo passati dalla rimozione estiva alla ripresa autunnale della pandemia, applicando un “lockdown” moderato, quanto basta per garantire all’invisibile una sopravvivenza acquattata. Ora siamo davanti al bivio. E Draghi ha scelto la direzione. Lui, non altri. Se sarà un vicolo cieco non ci saranno alibi. Dal 26 aprile l’Italia apre le finestre socchiuse, nel segno della responsabilità che il premier si è assunto nel labirinto di incertezze, dove l’opinione ha scatenato milioni di verità a scadenza immediata. In questa giostra perversa Draghi ha fatto la sua scommessa. Perché con tutti i calcoli preventivi resta sempre una sfida nella penombra scientifica, dove più che un autorevole parere conta la speranza di non inciampare in una variante balneare. L’unica certezza è che senza la ripartenza della bella stagione l’Italia (soprattutto le periferie meridionali) rischia di trasformarsi in un deserto. Non c’era più tempo per tergiversare, ondeggiando tra la prudenza delle restrizioni e lo slancio rischioso. E che Dio ce la mandi buona.