I carabinieri di Bari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del gip di Bari Giuseppe De Benedictis e dell’avvocato barese Giancarlo Chiariello. L’ordinanza è stata emessa dal gip di Lecce, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito di un’inchiesta per corruzione. Denaro per far scarcerare mafiosi detenuti: sarebbe questo l’accordo corruttivo intercorso tra il giudice e l’avvocato. Sono state arrestate anche altre persone, tra cui esponenti della criminalità organizzata barese e foggiana, che avrebbero beneficiato di provvedimenti favorevoli da parte del giudice che si ritiene sia stato corrotto. In corso anche numerose perquisizioni da parte dei Carabinieri. Il gip Giuseppe De Benedictis, il 9 aprile scorso, è stato perquisito nel suo ufficio a Palazzo di Giustizia di Bari ed è stato trovato in possesso - secondo la Dda di Lecce - di una tangente di circa 6.000 euro ricevuta poco prima dall’avvocato Giancarlo Chiariello. Il giudice, subito dopo, ha presentato al Csm richiesta di dimissioni dalla magistratura perché provava «vergogna». Oggi De Benedictis e Chiariello sono stati arrestati e portati in carcere. La perquisizione è stata estesa anche all’abitazione del magistrato dove, nascoste in alcune prese per derivazioni elettriche, sono state sequestrate numerose mazzette di denaro per importi variabili tra 2.000 e 16.000 euro (per un totale di circa 60.000), ritenute frutto della corruzione. E’ stato svelato da alcuni collaboratori di giustizia il sistema corruttivo messo in piedi dall’avvocato barese Giancarlo Chiariello e dal giudice Giuseppe De Benedictis. Il magistrato, stando a quanto ha ricostruito la Procura di Lecce, emetteva provvedimenti di scarcerazione favorevoli agli assistiti dell’avvocato Chiariello. Diversi pentiti hanno spiegato che i soggetti che ne hanno beneficiato, in gran parte appartenenti a famiglie mafiose o legate alla criminalità organizzata barese, foggiana e garganica, potendo contare sull'accordo corruttivo tra il giudice e l’avvocato, in cambio della corresponsione di somme di denaro, riuscivano ad ottenere provvedimenti di concessione di arresti domiciliari o remissione in libertà, pur essendo sottoposti a misura cautelare in carcere per reati anche associativi di estrema gravità, che gli consentivano di rientrare nel circuito criminale.