Nei giorni scorsi 4 migranti sono morti in una tragedia della strada. Viaggiavano su un’auto che si è scontrata con un furgone in provincia di Ragusa, dove avevano iniziato a piantare i semi di una nuova vita. Erano fuggiti dalla povertà e dal futuro negato, sfidando il destino. Avevano trovato accoglienza in Sicilia, facendo i primi passi nel faticoso cammino dell’integrazione. Tre di loro erano ospiti del centro “Bambino Gesù”, a Comiso, come ha ricordato Marilena Massari: «Sono arrivati qui 5 anni fa dal Senegal, dalla Guinea e dal Gambia; erano richiedenti asilo. Anche loro avevano attraversato il mare, erano stati sfiorati dalla morte. Avevano sogni, progetti, volevano costruirsi un avvenire e invece... Per noi erano come figli e ora siamo come spezzati». La comunità di Comiso si è mobilitata per raccogliere i fondi indispensabili a rimpatriare le salme.
Ai corti di memoria, a quelli che si sentono minacciati dalla diversità, sarebbe utile ripassare le cronache dell’emigrazione italiana tra la fine dell’Ottocento e buona parte del Novecento. Trenta milioni di italiani (i “pelle oliva, né bianchi né palesemente negri”, “una razza inferiore”) si sono sradicati per tentare fortuna nella terra promessa, affrontando rischi, pregiudizi, discriminazioni e disprezzo nei Paesi che avevano bisogno di manodopera e sudore “puzzolente” a salari stracciati. Come disse Richard Nixon, «non sono come noi»: «La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio è non si riesce a trovarne uno che è onesto».
Oggi siamo noi italiani che abbiamo bisogno di “braccia nere”, meglio senza diritti, per raccogliere agrumi e pomodori. Qualcuno dovrebbe spiegarlo ai cittadini che hanno manifestato contro il piccolo villaggio di prefabbricati realizzato a Cassibile, alle porte di Siracusa, per ospitare i lavoratori stagionali, non certo richiamati dal reddito di cittadinanza, ma dalla necessità di spaccarsi la schiena dieci ore al giorno per 25 euro (caporalato escluso).
Finalmente la Sicilia ha saputo dare prova di armonia istituzionale (Comune, Regione, Ministero dell’Interno) e in pochi mesi ha creato le condizioni per un’accoglienza decorosa, evitando baraccopoli e tuguri disumani. Un piccolo ma prezioso segnale che rappresenta una lezione di civiltà, anche nel rispetto di quella memoria custodita nelle valigie legate con lo spago, nelle terze classi “dolore e spavento” dei bastimenti carichi di amarezza e speranza.
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