L’escalation di tensioni nello Stretto di Sicilia, con i pescatori di Mazara del Vallo sequestrati, mitragliati e cacciati dalle motovedette libiche, è la spia del sommovimento di equilibri storici, logorati da un nuovo assetto geopolitico. La “guerra del pesce” è solo una chiave, neanche la più importante, per leggere in filigrana l’evoluzione delle influenze che si sono stabilizzate nel nuovo ordine del Mediterraneo. L’Italia appare fuorigioco in uno scacchiere nel quale per anni ha esercitato un ruolo di protagonista, grazie soprattutto alle coperture degli Stati Uniti. Non appena gli americani hanno allentato la presa, spostando altrove il baricentro dei loro interessi, altre potenze si sono riversate sulle coste dei nostri dirimpettai nordafricani (Libia, Tunisia, Algeria), seguendo le linee di una strategia espansiva. L’Italia si è così ritrovata in panchina, spettatrice imbelle di una partita con nuovi titolari. Russia e Turchia, con un approccio colonizzante, si sono divise la Libia. La Cina, più felpata, si sta infiltrando nell’economia algerina, dopo aver issato la sua bandiera sul Pireo. L’obiettivo è il controllo dello Stretto di Sicilia, 90 miglia di mare che rappresentano la connessione tra i due oceani, rotta di imprescindibili interessi commerciali ed energetici, corridoio decisivo per ridisegnare la mappa del potere nel Mare nostrum. Senza dimenticare che la costa nordafricana è la piattaforma per la gestione violenta e speculativa dei flussi migratori. Il nuovo ordine si è consolidato a tal punto da spalleggiare atteggiamenti intimidatori, sfociati in una recrudescenza della “guerra del pesce”. Il vuoto lasciato dall’Italia è diventato una minaccia, con la Sicilia ventre molle e non più sentinella del Mediterraneo. Basti pensare alle debolezze istituzionali che hanno fiaccato la capacità operativa della nostra Marina, imbrigliata da una politica estera senza spina dorsale. Il governo italiano non può più trascurare quel braccio di mare che rappresenta lo snodo di interessi vitali per il nostro Paese. Nello Stretto di Sicilia non ci sono solo tonni e gamberi, ma le ragioni stesse dell’integrità territoriale, insidiata da una trama offensiva che non si fermerà al controllo della Libia. La Turchia è già sulla torretta per scrutare col binocolo la possibile “preda” tunisina, in attesa di allargare la sua influenza, approfittando anche del passaporto acquisito come alleata della Nato. Il Mediterraneo appare come un dossier scottante non più rinviabile per la politica estera italiana. E tocca a Mario Draghi dispiegare una strategia che ridia ruolo e dignità all’Italia sull’uscio di casa, magari convincendo gli Usa a riaprire l’ombrello sullo Stretto di Sicilia. Non vorremmo di nuovo esclamare “Mamma li turchi”!