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Falcone, Borsellino e il “Sistema” di Palamara: il giudizio della memoria

Solo negli ultimi anni la memoria si è liberata della sua storia adulterata, forgiata sulle speculazioni del “Sistema” che si era impadronito anche del patrimonio etico lasciato dal sacrificio dei due magistrati e prima ancora di Livatino

Fa una certa impressione rivivere il ricordo  di Falcone, Borsellino e degli agenti di scorta, vittime del tritolo mafioso, mentre Palamara zompetta sui palcoscenici televisivi a spiegare le stesse trame che sabotarono le carriere dei due magistrati. Solo negli ultimi anni la memoria si è liberata della sua storia adulterata, forgiata sulle speculazioni del “Sistema” che si era impadronito anche del patrimonio etico lasciato dal sacrificio di Falcone, Borsellino e prima ancora di Livatino.

Oggi si stanno ristabilendo le giuste distanze. Il percorso è ancora incompiuto, ma conosciamo le derive che da sempre hanno governato il potere giudiziario in Italia, boicottando quei giudici disallineati e scomodi. Non che prima fosse un mistero. Anzi. Solo che adesso la realtà, spesso più torbida dell’immaginazione, è stata scardinata, aprendosi così alla lettura dell’opinione pubblica. La credibilità della giustizia è sotto i tacchi, come confermano i sondaggi e la Magistratura vive la sua nemesi: dall’altare di Tangentopoli alla polvere di Palamara; ieri baluardo etico, oggi categoria infestata dagli apparentamenti che hanno generato faide tribali e privilegi inaccettabili. E come sempre accade, quando sopraggiunge “l’altra verità” si scatena la  canea: quando “il toro è al macello tutti corrono con il coltello”.

Eppure si avverte l’urgenza di uscire da questo incastro per recuperare la fiducia in un presidio costituzionale indispensabile per la nostra democrazia. Il dibattito è rovente ma annaspa tra soluzioni posticce ipotizzate per bonificare le zone d’ombra. È francamente velleitario e grottesco immaginare che un sorteggio, o qualche formula matematica, possano rigenerare il tessuto morale della Magistratura italiana. Non è un calcolo, spacciato per riforma, che può garantire equità, imparzialità, merito, deontologia professionale. Bisogna scavare a fondo con un approccio più radicale ma non punitivo, scongiurando il tentativo politico di sostituire la toga con una livrea,  simbolo di un potere non più indipendente ma ancillare.

Le soluzioni politiche saranno inadeguate senza una convinta partecipazione dei magistrati a una sorta di  processo “catartico”, capace di riannodare i valori della Giustizia, per la quale si sono sacrificati Falcone, Borsellino e le tante vittime di mafia e terrorismo. Oggi quella memoria che viviamo come ideale è il Giudice di fronte al quale i magistrati italiani si devono interrogare.

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