I vaccini di Pfizer/BioNTech e AstraZeneca contro il Covid-19 sono «molto efficaci» contro la variante indiana in seguito alla somministrazione della seconda dose. Risulta da uno studio di Publich Health England. Un’unica dose del siero fornisce un livello di protezione contro le infezioni sintomatiche pari al 33% nel caso della variante indiana, un’efficacia inferiore a quella del 50% registrata contro la variante inglese. Con l’inoculazione di entrambe le dosi, invece, il livello di protezione è elevato e simile di fronte a entrambe le mutazioni.
Nel dettaglio, l’efficacia del vaccino Pfizer, dopo due dosi, è pari all’88% nel prevenire infezioni sintomatiche della variante indiana e al 93% nel prevenire infezioni sintomatiche della variante inglese. Nel caso di AstraZeneca, l’efficacia scende rispettivamente al 60% e al 66%, una differenza, si legge nello studio, che potrebbe essere spiegata con il maggiore tempo impiegato da questo vaccino per raggiungere la massima efficacia e dall’approvazione successiva a quella del farmaco di Pfizer, le cui seconde dosi sono state inoculate prima.
Il ministro della Salute britannico, Matt Hancock, ha dichiarato che i risultati dello studio lo rendono «sempre più fiducioso» che il governo possa avviare, come previsto, il 21 giugno la Fase 4 della rimozione delle restrizioni, ovvero il ritorno quasi completo alla normalità. «I dati mostrano che la somministrazione di entrambe le dosi è assolutamente vitale», ha aggiunto Hancock.
C'è ottimismo a Oxford
L’inoculazione di una terza dose del vaccino contro il Covid-19 in autunno, come previsto dal governo britannico, potrebbe non essere necessaria. Lo ha spiegato, in un’intervista, Andrew Pollard dell’Università di Oxford, uno dei padri del vaccino sviluppato dall’ateneo inglese con AstraZeneca e responsabile della sua sperimentazione. Il governo Johnson «si sbaglia, niente è deciso», afferma Pollard, «se mai dovesse essere necessaria, bisognerà vedere quali e quante persone vaccinare per la terza volta, magari solo gli anziani a causa della loro immunità più fragile nel tempo. Mentre tutti gli altri magari avranno infezioni leggere, anche per anni dopo la seconda dose».
«Se invece il virus mutasse così tanto da bucare i vaccini, allora un’ampia fetta di popolazione avrà bisogno di una terza somministrazione ma a oggi mi pare uno scenario estremamente improbabile», ha spiegato Pollard. (AGI)
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