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Caso concerto "Primo maggio", la Rai querela Fedez per diffamazione

Finisce in tribunale il caso Fedez, dopo le polemiche nate con il Concertone del Primo maggio: Viale Mazzini ha deciso di «procedere in sede penale» contro il rapper "in relazione all’illecita diffusione dei contenuti dell’audio" della telefonata con i vertici di Rai3 e «alla diffamazione aggravata in danno della società e di una sua dipendente».

Ad ufficializzare la mossa dell’ufficio legale dell’azienda è Massimiliano Capitanio, capogruppo della Lega in commissione di Vigilanza e firmatario di un’interrogazione sulla vicenda, che parla di «atto dovuto e doveroso». Tutto è nato sul palco dell’Auditorium, con l’intervento di Fedez a favore del ddl Zan contro l’omofobia e l’affondo contro diversi esponenti del Carroccio: un discorso che la Rai avrebbe tentato di censurare, ha accusato il rapper, postando sui social l'audio della conversazione avuta al telefono con i rappresentanti di iCompany, la società organizzatrice dell’evento, e la vicedirettrice di Rai3 Ilaria Capitani. Una "polemica basata sulla manipolazione dei fatti", per «dimostrare una censura che non c'è mai stata», aveva replicato in Vigilanza il direttore della terza rete, Franco Di Mare. Ora il passaggio successivo, con la decisione dell’azienda di intraprendere le vie legali. La Rai, si legge nella risposta all’interrogazione di Capitanio, si ispira «senza riserve agli impegni presi nel Contratto di Servizio e ai principi in esso contenuti, e in particolare non ha mai derogato nella sua programmazione a tutto ciò che attiene a equilibrio, responsabilità, pluralismo, verità, imparzialità e indipendenza» e anche in occasione del Primo Maggio l’azienda «si è adoperata in ogni modo per far sì che si rispettassero i principi suesposti. Un comportamento che da sempre è alla base di ogni azione di ogni dipendente e collaboratore dell’azienda e che viene costantemente replicato, senza eccezione alcuna, nella realizzazione di ogni programma televisivo, radiofonico o via web della Rai».

«Si tratta di un atto dovuto e doveroso - commenta Capitanio - perché su temi fondanti della nostra democrazia, come la libertà di espressione e il rispetto della persona, non è possibile scherzare né tantomeno organizzare show per un pugno di like». Alle accuse di falsificazioni ricevute dalla Rai, nei giorni scorsi Fedez aveva replicato sottolineando di essere pronto a rifare tutto: «Io so benissimo di essere un privilegiato e se la Rai mi fa causa ho i modi di difendermi, se la Rai mi bandisce dalle sue reti non mi cambia la vita. Il problema è: un altro artista meno privilegiato al posto mio avrebbe ceduto probabilmente. Lo stesso vale per i dipendenti Rai, che devono scegliere tra libertà di parola e fare mangiare la famiglia». E aveva poi scritto al presidente della Vigilanza, Alberto Barachini, per chiedere di essere ascoltato sulla vicenda. «Noi speriamo solamente che emerga la verità: non abbiamo sete di vendetta - conclude Capitanio - e ci siamo già dichiarati disponibili ad accogliere la richiesta di Fedez di venire in audizione in Vigilanza. Quella sera sono state fatte e dette cose troppo gravi, sarebbe offensivo del nostro ruolo fare finta di niente».

 

Fedez: "Rifarei mille volte quello che ho fatto il 1 maggio"

«Ne sono orgogliosissimo, lo rifarei mille volte. Cari amici della stampa e della Rai, non si tratta di voler vendere qualcosa in più ma si tratta di metterci la faccia, di pagarne le conseguenze, ci saranno molti che non hanno il privilegio come me di potersi difendere». In una serie di stories su Instagram, Fedez spiega le motivazioni che lo hanno spinto a diffondere, al concertone del 1 maggio, l’audio della telefonata sul contenuto del suo intervento. «Mi assumo la responsabilità di quello che ho detto e ho fatto, però bisognerebbe ricordare come si è comportata la Rai in questa faccenda» dice Fedez che definisce «incontestabili» i fatti che sono successi. «Speriamo che in Commissione di vigilanza sulla Rai mi faranno dire la mia, visto che c'è bisogno di un contraddittorio» aggiunge accennando al fatto che «ci sono tante cose che ancora devono emergere»

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