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Il nodo magistratura, il presidente Anm Giuseppe Santalucia: «La nostra indipendenza a rischio»

Il caso Palamara non è per nulla ignorato, siamo consapevoli dei guasti e della necessità di superare una crisi di credibilità che non neghiamo. Sono necessarie riforme per potenziare il servizio giustizia che compete al legislatore e sul quale l’Anm ha un ruolo di interlocutore ma certo non di decisore. Generalizzazioni sul “correntismo” sono tutte errate, se ragionassimo così rinunceremmo ad un vero esame di quanto è avvenuto.

Incontro a tutto campo con il neo presidente nazionale dell’Associazione nazionale magistrati, il messinese Giuseppe Santalucia.
Presidente Giuseppe Santalucia, è inutile che ci giriamo intorno, ma la magistratura associata e non per adesso deve confrontarsi inevitabilmente con il “il caso Palamara” e con tutto quello che ne è seguito. Come vertice dell’Associazione nazionale magistrati lei come intende muoversi sulla “questione morale”?
Il “caso Palamara” non è per nulla ignorato ed è al centro della nostra riflessione. Siamo consapevoli dei guasti che si sono prodotti e della necessità di superare una crisi di credibilità che non neghiamo. La nostra volontà non è quella di mettere da canto i problemi che sono emersi, attendendo che passi la tempesta, ma di affrontarli e risolverli.
Come si supera la crisi?
Con più azioni concorrenti. C’è un piano delle necessarie riforme per potenziare l’efficienza del servizio giustizia che compete al Legislatore e sul quale l’ANM ha un ruolo di interlocutore qualificato ma certo non di decisore. Su questo fronte attendiamo che il Legislatore vari le riforme necessarie ed utili, che daranno un contributo importante anche alla soluzione delle questioni che agitano l’associazionismo giudiziario. Poi, e accanto, c’è il terreno di un lavoro eminentemente culturale, che è quello che compete all’ANM, di recupero del senso e delle ragioni della nostra professione, per la riaffermazione di un modello di magistrato ancor più ancorato ai valori costituzionali di fondo, dell’autonomia e dell’indipendenza. Non dico che esso sia andato perduto in questi anni, ma certo ha vissuto momenti significativi di appannamento. Occorre rimettere al centro della nostra discussione il senso autentico del servizio che rendiamo e interpretare l’indipendenza non soltanto come lontananza dalla Politica ma anche come indipendenza dalle umane personali ambizioni. Occorre saperle governare e non esserne dipendenti.
C’è un movimento d'opinione, chiamiamolo così, anche all’interno della magistratura, che vedrebbe bene il sorteggio per eleggere i togati al Csm. Lei su questo cosa pensa?
Sul sorteggio penso che, a Costituzione invariata, sia una proposta non meritevole di discussione. La Costituzione parla di magistrati eletti e qualche proposta avanzata per mitigarne il palese contrasto – penso al sorteggio degli eleggibili – vada comunque a cozzare con la chiarezza del testo della nostra Legge fondamentale.
E parliamo del “correntismo” e delle sue varie declinazioni e storture. È veramente tutto deciso in base all’appartenenza, nella vostra categoria, oppure la realtà è diversa? Lei lotterà per eliminarlo?
Le generalizzazioni, come quella che mi propone, sono tutte, quasi per necessità logica, errate. Non può dirsi che tutto sia stato deciso al di fuori delle regole del merito. Se ragionassimo così, rinunceremmo ad un vero esame di quanto è avvenuto, favorendo letture capaci soltanto di annacquare le responsabilità individuali. Occorre invece che il passato sia indagato a dovere conservando la forza di saper distinguere.
Lei quando è stato eletto ha affermato che non avrebbe prospettato un “ribasso”, ma avrebbe assunto un ruolo di “mediazione”. Che intendeva dire?
Intendevo dire che in una Giunta esecutiva che nasceva dopo qualche mese di discussione interna con il proposito di impegnare quasi tutti i gruppi rappresentati all’interno dell’ANM il mio compito sarebbe stato quello di cercare una sintesi tra le diverse posizioni, nella convinzione che nell’agire politico, anche associativo, la mediazione tra punti di vista differenti è un valore che assicura unità e quindi efficacia di azione.
Titolo: “La magistratura e la pandemia”. È stata nella prima fase una vera paralisi della giustizia, la macchina s’è inceppata, questo è indubbio, e ora si va molto a rilento, chi frequenta i tribunali si rende bene conto che si viaggia a scartamento molto ridotto. Cosa è successo secondo lei e quali rimedi si devono prendere con urgenza per ripartire dopo questi due anni di ”buco”? Si accumulano arretrati su arretrati...
Il bilancio non è così catastrofico. La prima risposta del Legislatore alla diffusione pandemica è stata quella di arrestare, quasi integralmente, la giustizia. Una determinazione dettata dalla drammaticità di quei momenti, che ha certo creato un accumulo di arretrato, che però gli uffici stanno smaltendo. Quella soluzione non è stata ripetuta nelle successive ondate pandemiche, fronteggiate con soluzioni organizzative favorite anche dalle nuove tecnologie – penso al processo a distanza –. Al di là di quanto generalmente si pensa e si dice l’arretrato nella giustizia civile è in costante decrescita da molti anni e tanto ancora di positivo mi aspetto possa seguire alle imminenti riforme.
Parliamo di riforme, non c’è solo il nuovo Csm nel futuro della giustizia ma sul piatto anche una nuova visione del processo civile e penale, che arrancano. Qui che bisogna fare secondo i magistrati italiani, continuare andando a tentoni come è stato fatto finora oppure prendere una direzione ben precisa?
L’impianto delle riforme che si prospettano mi sembra positivo. Guardando alla giustizia civile apprezzo l’approccio riformatore che si articola su più aspetti: dall’intervento per potenziare forme extragiudiziali di risoluzione delle controversie – la mediazione –, a quello di rafforzamento dell’organizzazione – l’ufficio per il processo –, a quello infine delle modifiche del rito processuale, nella prospettiva di una semplificazione e concentrazione di attività.
In questi mesi difficili c’è stato un dialogo reale e non di facciata con l'avvocatura? Volete veramente aprire una interlocuzione oppure rimanete su posizioni distanti per i temi caldi della giustizia?
È una volontà di confronto reale, radicata nella convinzione che soltanto migliorando l’efficienza della risposta giudiziaria, nel rispetto rigoroso delle garanzie, potremo tutti trarre beneficio. Lo scontro polemico è sterile e, in un momento drammatico per il Paese come quello che stiamo vivendo, anche assai poco tollerabile.
Sulle sanzioni ai magistrati “lenti” lei cosa pensa?
Abbiamo un apparato disciplinare che già prevede sanzioni per i magistrati scarsamente laboriosi. Quel che occorre sempre però tener presente è il pericolo di confondere i disagi organizzativi di molti uffici con l’impegno lavorativo dei singoli, facendo apparire scarsamente laboriosi magistrati che invece si dibattono in mille difficoltà a loro non imputabili.
Ci sono dei vostri “parenti”, diciamo così, i magistrati onorari, che protestano da mesi ma sono inascoltati. L’Anm su questa categoria che porta avanti una fetta importante di giustizia nel Paese cosa pensa?
Sulla magistratura onoraria ci attendiamo dal Legislatore che dia una risposta in termini di riconoscimento dei giusti diritti a quanti, per determinazioni normative di corto respiro affidate a proroghe di anno in anno, lavorano ormai da molto tempo in condizioni di sostanziale precariato. E al contempo che dia un assetto chiaro alla magistratura onoraria in modo che da qui a qualche anno non ci si debba ritrovare a discutere di nuove sacche di precariato, intollerabili specie nel settore della giustizia.
Secondo lei l’indipendenza dei magistrati è a rischio per il futuro?
Lo è, e lo sarà di più se i magistrati non sapranno dare prova di praticarla nel quotidiano esercizio dei loro delicati ed essenziali compiti. Per ora il pericolo che intravedo è che taluno possa voler profittare della attuale crisi di credibilità della magistratura per realizzare vecchi progetti di ridimensionamento del ruolo della giurisdizione.
La politica e la magistratura devono essere sempre entità separate, ma la politica è “entrata” o no nella gestione delle vostre cose?
Non devono esserci interferenze indebite della Politica, non è dubbio. La magistratura non è un ordine che vive di separatezza e ne è prova la composizione mista del Consiglio superiore della magistratura. Solo in quell’ambito è giusto che si abbia un confronto e una codecisione con esponenti nominati dal Parlamento sulle questioni che attengono alla gestione degli uffici giudiziari e degli incarichi di direzione. Quel che è accaduto in passato va compiutamente accertato nelle sedi competenti perché non abbia a ripetersi nel futuro.
La frammentazione che c’è al vostro interno rispecchia una varietà di opinioni o profonde spaccature?
Non ci sono spaccature. Il fatto stesso che si aderisca tutti alla stessa associazione, l’ANM, è la prova della condivisione di una stessa piattaforma di valori e di obiettivi. Ci sono punti di vista diversi, a volte opposti, e quindi si anima il confronto, si strutturano posizioni diverse e anche di dissenso dalla linea di maggioranza. Ma questo è proprio dell’agire democratico.
Cosa pensa della vicenda Amara, della fantomatica loggia Ungheria e della contrapposizioni Ardita-Davigo?
Sulla loggia Ungheria attendo che dicano le varie Procure della Repubblica che sono impegnate nelle indagini. Rifiuto di farmi una opinione su vicende giudiziarie per quel che posso apprendere dai giornali. Sulle contrapposizioni tra singoli magistrati, comprendo il desiderio di ciascuno di rappresentare le proprie buone ragioni ma non credo che farne oggetto di dibattito su stampa e tv possa aiutare. La pubblica opinione ha bisogno che si faccia chiarezza e questa può provenire soltanto da accertamenti svolti rapidamente nelle sedi competenti.
Magistrati e salotti tv. Secondo lei i magistrati devono andare in televisione?
Devono andare in televisione quando possono contribuire ad una migliore conoscenza collettiva di questioni che spesso sono complesse e di non facile apprensione. L’obiettivo deve essere sempre quello di dare un apporto di razionalità nell’esame delle questioni. A volte, invece, può verificarsi che si ingeneri maggiore confusione, e ciò non è bene.
Quando lei era pm a Messina preferiva lavorare in silenzio, che ricordo ha di quella stagione? Le posso chiedere un’ultima cosa: perché è andato via?
Conservo un bel ricordo, erano gli anni delle mie prime esperienze giudiziarie, vissute con tanta dedizione e passione. Sono andato via perché le scelte professionali dipendono da vari fattori e si intrecciano ovviamente con questioni di vita personale e familiare. In fase di bilancio posso dire che sono soddisfatto del mio percorso professionale, anche se la nostalgia per la mia città è forte.

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