Nel 1995 avrebbe ucciso la sorella, figlia di uno storico clan mafioso del Catanese legato Cosa nostra, perché tradiva il marito con esponenti del suo clan e di uno rivale. Questo secondo l’accusa contestata ad Alessandro Alleruzzo, 47 anni, figlio del boss deceduto Giuseppe, destinatario di un ordine di custodia cautelare per l’omicidio della sorella, Nunzia. La donna era scomparsa di casa il 30 maggio del 1995. Quel giorno il figlio di 5 anni disse di averla vista uscire di casa con suo zio Alessandro. Secondo un pentito lo stesso Alleruzzo gli avrebbe «raccontato di aver ucciso la propria sorella per riscattare l’onore della famiglia». (ANSA)
L'intervento dei carabinieri
Sono stati i carabinieri della compagnia di Paternò a notificare l’ordinanza di custodia cautelare ad Alessandro Alleruzzo e cugino di Santo Alleruzzo di 67 anni, detto " 'a vipera» e considerato reggente del clan fino al suo ultimo arresto avvenuto nell’ambito della operazione «Sotto Scacco». Il 25 marzo del 1998 militari del nucleo operativo della compagnia di Paternò, a seguito di due telefonate anonime (dal carcere Santo Alleruzzo aveva intimato ad Alessandro di far ritrovare il corpo della sorella per darle sepoltura), recuperarono in un pozzo nelle campagne di Paternò, nei pressi dell’abitazione di Pippo Alleruzzo, i resti ossei di una donna, in particolare il teschio, sul quale vi erano due fori causati da colpi di arma da fuoco. Le attività investigative, grazie anche alla comparazione del dna, permisero di identificare la vittima. Le recenti dichiarazioni di tre diversi pentiti (Francesco Bonomo, Antonino Giuseppe Caliò e Orazio Farina), riscontrate dagli investigatori, hanno alzato il velo sul ritrovamento del cadavere di Nunzia Alleruzzo. Ulteriori attività investigative, a seguito della riapertura delle indagini nel 2021 coordinate dalla dda di Catania ed eseguite dai Carabinieri di Paternò, hanno consentito di sentire a sommarie informazioni i familiari della giovane Nunzia, dalle quali emergeva un eccesso di ritrattazioni, superflue e sospette. Venivano così disposte intercettazioni all’interno della cella della casa circondariale di Asti, nella quale erano detenuti Giovanni Messina, ritenuto uno degli amanti della donna assassinata, e Salvatore Assinnata. Questi, a seguito della pubblicazione di articoli di stampa del 9 febbraio scorso sulla riapertura delle indagini, commentarono confermando l’ipotesi investigativa dell’omicidio in ambito familiare («e Alessandro è il mandanteehhammazzauehh»). (AGI)
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