«La questione è molto semplice, il ddl Zan da oggi non è più solo una questione parlamentare ma governativa». Una fonte dell’esecutivo, al termine di una giornata a dir poco tesa dentro e fuori la politica, descrive così il delicatissimo compito che, da qui alle prossime ore, il premier Mario Draghi avrà di fronte a sé. Il capo del governo, parlando alle Camere, non entrerà comunque «in tackle» su un tema che per lui, si ragiona in ambienti parlamentari della maggioranza, era e resta parlamentare. Fonti di primo piano della maggioranza spiegano che il suo sarà un intervento più che altro «procedurale» accompagnato da un sostanziale appello per una condivisione parlamentare più ampia e meditata.
L'iniziativa "morbida" di Draghi
Fonti di Palazzo Chigi interpellate al riguardo non entrano nel merito chiarendo che il premier sta approfondendo la questione e si esprimerà parlando alle Camere dopo aver fatto tutte le valutazioni. Quella di Draghi, insomma, sarà un’iniziativa morbida. Il premier non vuole e non può andare oltre, si rileva sempre in ambienti di maggioranza, soprattutto parlando da un «palco» come quello delle comunicazioni del presidente del Consiglio alle Camere prima del Consiglio europeo. Spetta ai partiti di maggioranza trovare la giusta quadra per portare avanti una legge che è di iniziativa parlamentare.
Il timore del governo
Certo, nel governo un timore c'è: quello dell’impugnazione del Concordato da parte della Santa Sede una volta che il ddl Zan diventerà legge. E il rischio, spiegano fonti parlamentari di rango, è che la protesta della segreteria di Stato abbia radicalizzato le posizioni di chi vuole la legge al più presto. La protesta da Oltretevere è stata consegnata all’ambasciata italiana presso la Santa Sede e gli uffici diplomatici l’hanno a loro volta inviata al Quirinale. Si tratta di una nota verbale, che nel linguaggio delle feluche è una forma di corrispondenza tra ambasciate o tra una missione diplomatica stabilita in uno Stato accreditatario e il ministero degli Esteri dello Stato medesimo. E’ redatta in terza persona e non è firmata. E di prassi non viene diffusa ai media, cosa che nella maggioranza ha seminato il sospetto di una «manina» che abbia disvelato la nota. Che arriva come un fulmine a ciel sereno nel giorno in cui, da Cinecittà, Draghi e Ursula von Der Leyen celebrano il sì dell’Ue al Recovery italiano. In realtà, come dimostra l’articolata replica della presidente della commissione Ue ad una domanda sul tema in conferenza stampa allo studio 10, von der Leyen era ampiamente a conoscenza della protesta vaticana. E, nella sua risposta, usa una formula che, concettualmente, Draghi potrebbe «girare» alle forze parlamentari: quella di trovare un equilibrio tra la tutela della diversità e quella della libertà di parola, entrambi valori protetti dai Trattati Europei. Del resto, in Ue, le tematiche Lgbt non sono meno foriere di polemiche e chissà che non sfiorino anche il prossimo Consiglio. Lo dimostra il no dell’Uefa allo «stadio arcobaleno» proposto dal sindaco di Monaco di Baviera per la partita Germania-Ungheria. O l’iniziativa di 13 Paesi Ue contro la legge ungherese anti Lgbtiq, alla quale solo in serata si aggiunge l'Italia. In Parlamento il rischio è che l’intervento vaticano "affossi" il ddl Zan. Una modifica in versione soft di alcune sue parti - come quella sulla partecipazione delle scuole a iniziative contro l’omofobia - sarebbe nell’ordine delle cose. E l'intesa a non vedersi all’orizzonte. La maggioranza è spaccata ma anche all’interno dei partiti emergono divisioni, a cominciare dal Pd, dove Enrico Letta è costretto a mediare tra le sensibilità dei cattolici e quelle più vicine all’attivismo Lgbtq. Anche negli M5S - schierato finora al fianco del Pd per la legge - potrebbero emergere divisioni, visti anche i cordiali e stretti rapporti che, nel suo premierato, Giuseppe Conte ha intessuto con la Chiesa. Del resto, basterebbe ricordare cosa accadde per la legge sulle unioni civili del maggio 2016, approvata dopo mesi e mesi di tensione tra i partiti della maggioranza di Matteo Renzi e all’interno degli stessi Dem. Sono passati 5 anni e 4 governi e queste tematiche, nella politica italiana, restano esplosive.
La richiesta
Qualcuno lo vede come un intervento a gamba tesa, altri come un'occasione per riaprire il dialogo tra i vari fronti opposti sulla questione. La Santa Sede ha ufficialmente chiesto al governo italiano di ripensare, "rimodulare" è la parola usata Oltretevere, il ddl Zan perché, così com'è ora, potrebbe configurare una violazione del Concordato, mettendo a rischio "la piena libertà" della Chiesa cattolica. Un appunto che monsignor Richard Gallagher, il diplomatico vaticano che tiene i rapporti con gli Stati, ha fatto pervenire sul tavolo del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il premier Mario Draghi interverrà sulla questione domani. "Sarò in Parlamento tutto il giorno, mi aspetto che me lo chiedano e risponderò in maniera ben più strutturata di oggi. È una domanda importante", ha assicurato rispondendo ai giornalisti. Un commento arriva anche dalla presidente Ue Ursula von der Leyen: «I trattati europei proteggono la dignità di ogni singolo essere umano e proteggono la libertà di parola, tra altri valori. E portare questi valori in equilibrio è un lavoro quotidiano nella nostra Ue», ha detto pur non entrando nella diatriba tutta italiana. La maggioranza giallo-rossa difende a spada tratta la legge, da M5s al Pd.
Fico: "Parlamento sovrano, non accettiamo ingerenze"
«La risposta» al Vaticano «è semplice: il Parlamento è sovrano, i parlamentari decidono in modo indipendente. Il ddl Zan è già passato alla Camera, ora è al Senato, sta facendo» il suo iter «e noi non accettiamo ingerenze. Il Parlamento è sovrano e tale rimane». Lo ha detto il presidente della Camera, Roberto Fico, ad Agorà su Rai 3
Il parere del Pd
Il segretario Enrico Letta però lascia anche uno spiraglio al confronto: «Siamo pronti a guardare i nodi giuridici, siamo disponibili al dialogo, ma sosteniamo l'impianto della legge che è una legge di civiltà». Letta con il Pd vuole vedere approvata la legge, lo conferma anche oggi, e da una parte avrebbe attivato canali "diplomatici" con il Vaticano per disinnescare il contenzioso, ma dall’altra si è subito confrontato con Di Maio. Italia Viva, che ha sempre auspicato un confronto più ampio, oggi, per bocca di Ettore Rosato, manda un segnale: «Proviamo ad ascoltarle queste obiezioni di merito che sono arrivate, non solo dal mondo cattolico». E anche dal fronte della Lega arrivano parole nella direzione di una apertura al confronto, senza il muro contro muro: «Sul ddl Zan io sono pronto a incontrare Letta, anche domani», dice Matteo Salvini. Una convergenza che fa scrivere ad Avvenire, il quotidiano dei vescovi: «Dal dibattito sul Concordato lo spunto per il dialogo». Quello che aveva chiesto il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, anche sfidando l’anima più conservatrice della Chiesa italiana che ha fatto del ddl Zan un totem da abbattere. Sta di fatto, comunque, che è la prima volta che il Vaticano sfodera l’"arma" del Concordato per chiedere la revisione di una legge italiana. La preoccupazione è che la libertà di espressione venga compressa dalle nuove norme e che «non si possa più svolgere liberamente l’azione pastorale, educativa, sociale». Ma il pensiero del Papa è anche per quelle scuole cattoliche per i quali i genitori pagano una retta e che invece si dovrebbero "adeguare" a nuovi eventi e programmi legati, sì, all’omofobia e anche al gender e ad una concezione della famiglia che non coincide con la dottrina della Chiesa. "Certamente c'è preoccupazione nella Santa Sede», ha confermato il card. Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici e la Famiglia. Sul piede di guerra le associazioni Lgbt: «Il tentativo esplicito e brutale è quello di sottrarre al Parlamento il dibattito sulla legge e trasformare la questione in una crisi diplomatica, mettendola nella mani del Governo Draghi per far si che tutto venga congelato», denuncia l’Arcigay. Franco Grillini, ex parlamentare e storico esponente del movimento gay italiano, chiede invece di «abolire definitivamente» proprio il Concordato, «questo retaggio fascista. La pretesa vaticana di dettare legge all’Italia interferendo con la sua attività legislativa è irricevibile».