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Minacce a Paolo Borrometi: a Reggio condanna confermata per Damiana Brandimarte

La 31enne di Gioia Tauro aveva diffamato sui social il giornalista definendolo "corrotto e colluso da qualcuno che lo paga per scrivere notizie e assurdità sulle persone"

Paolo Borrometi

La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la condanna di primo grado a carico di Damiana Brandimarte, 31 anni di Gioia Tauro, per avere diffamato sui social il giornalista Paolo Borrometi, vice direttore dell’Agi, per i suoi articoli sulla faida di Gioia Tauro, nel Reggino, tra i Brandimarte, indicati dagli inquirenti come 'ndrina autonoma legata alla cosca Molè-Piromalli, e i Priolo.

Vincenzo Priolo, marito di Damiana Brandimarte, fu ucciso a Gioia Tauro da Vincenzo Perri, nipote dei Brandimarte, nel luglio del 2011: omicidio originariamente camuffato come l’esito tragico della crisi matrimoniale tra i due giovani. Ipotesi presto naufragata poiché, secondo gli inquirenti, il fatto di sangue maturò a causa dei contrasti sulla gestione del traffico degli stupefacenti.

Paolo Borrometi, più volte pesantemente minacciato dalla criminalità mafiosa per il suo lavoro di approfondimento sulle attività illegali di Cosa Nostra e 'Ndrangheta, era stato definito dalla Brandimarte «giornalista corrotto e colluso da qualcuno che lo paga per scrivere notizie e assurdità sulle persone. Si badi l’onore della sua famiglia - scriveva tra l’altro Damiana Brandimarte - se lo conserva ancora, informatore di false notizie scadute».

Secondo quanto emerso dalle indagini del reparto operativo dei carabinieri di Roma, la Brandimarte si era servita del profilo Facebook registrato a nome di un congiunto, Francesco Tripodi, per lanciare le pesantissime accuse contro Borrometi, stigmatizzate già nella sentenza di primo grado del giudice monocratico del Tribunale di Palmi, Manuela Morrone, e condivise pienamente dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Paolo Borrometi, difeso dall’avvocato Domenico Diano del Foro di Reggio Calabria, aveva approfondito alcune parti di una relazione della Direzione nazionale antimafia sulla 'ndrangheta, in cui erano rappresentati i veri motivi dello scontro sanguinoso di Gioia Tauro dal 2011 in poi, culminato con gli omicidi dell’ex marito di Damiana Brandimarte, Vincenzo Priolo, e di Michele Brandimarte, assassinato a Vittoria, nel Ragusano, nel dicembre del 2014, a colpi di pistola calibro 9.

Il prosieguo delle indagini consentì di scoprire che l’autore dell’omicidio fu Domenico Italiano, di Gioia Tauro, con cui Brandimarte aveva litigato poco prima, reo confesso dinanzi ai carabinieri di Gioia Tauro, ai quali aveva anche consegnato l’arma del delitto.

I Brandimarte, come emerge dall’operazione «Joeys seaside» del marzo 2021, condotta dal commissariato di Polizia di Gioia Tauro con il coordinamento della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, avevano costituito un “cartello” con i De Maio finalizzato al traffico di armi e cocaina, infiltrando le attività del porto di Gioia Tauro, con il consenso dei capi storici della ndrangheta gioiese, i Molè-Piromalli. Poco meno di un mese fa, quello che gli inquirenti indicano come il capo indiscusso dell’omonima cosca, Giuseppe Piromalli, 75 anni, nipote dei defunti Mommo e Peppino Piromalli, è stato scarcerato dopo 22 anni di reclusione per fine pena, con l’obbligo della sorveglianza speciale per i prossimi tre anni.

 

 

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