"L'operazione del 23 luglio è sicuramente rilevante, perché fa luce, innanzitutto, sull'importanza di analizzare gli atti di lottizzazione e sul fatto che, spesso, attraverso le lottizzazioni, la criminalità organizzata ha cercato delle speculazioni. C'è poi il tema cruciale del riutilizzo e del reimpiego sociale dei beni confiscati: in questo, il Comune di Sorbolo (Parma) e il sindaco, Nicola Cesari, hanno avviato un percorso virtuoso, attraverso l'assegnazione di alcuni appartamenti a famiglie bisognose. Non solo lì ci sarà la necessità di trovare un adeguato riutilizzo dei beni sequestrati, che diventano un'opportunità, ma anche altrove: mi auguro che altri comuni seguano l'esempio positivo di Sorbolo". Elia Minari, giurista, scrittore, esperto di mafie e corruzione e coordinatore dell'Osservatorio permanente Legalità all'università di Parma, la commenta, a LaPresse, così la confisca, da parte della Direzione investigativa antimafia, di beni per un valore di oltre 10 milioni di euro a un imprenditore calabrese, residente a Sorbolo, nel parmense, coinvolto nell'operazione Aemilia e ritenuto, dagli inquirenti, contiguo al mondo della criminalità organizzata, radicata nella regione.
Minari, da anni, segue ogni passaggio del maxi-processo Aemilia, che nei suoi diversi tronconi conta più di 200 imputati e che coinvolge, a fianco di esponenti di 'Ndrangheta, anche personaggi che lui definisce "insospettabili, persone cioè nate e cresciute in Emilia-Romagna, come consulenti finanziari e professionisti di vari settori", che, collaborando con le cosche, avrebbero agevolato la criminalità organizzata calabrese su piani diversi. E alla domanda su come la 'Ndrangheta sia penetrata così facilmente su tutto il territorio emiliano-romagnolo, il giurista lo descrive come un processo iniziato da tempo, almeno dagli anni '70. "All'epoca, molti personaggi condannati in Calabria arrivarono qui, alcuni in seguito a misure come il soggiorno obbligato, e riuscirono a espandere i loro affari, insediandosi in diversi ambiti - spiega -. Dapprima quello dell'edilizia, il settore volano della penetrazione della criminalità organizzata in Emilia-Romagna, anche per la richiesta di manodopera a basso costo (e, in questo modo, effettuando una concorrenza sleale agli operatori onesti), poi nel tempo insediandosi anche nel movimento terra, nella logistica, nella movimentazione di merci, nella ristorazione, nella filiera agroalimentare, negli autotrasporti e, infine, anche nel comparto del turismo (In regione sono, attualmente, diversi i ristoranti e le pizzerie finite sotto sequestro da parte della magistratura)". Per l'esperto, 'Ndrangheta e criminalità organizzata si sono infiltrate nelle regioni più fiorenti dal punto di vista economico, come l'Emilia-Romagna, "per poter reinvestire i capitali di provenienza illecita (dalle sostanze stupefacenti alla prostituzione, fino ai proventi del gioco d'azzardo), riuscendo così a riciclare i capitali, facendoli fruttare, nei vari settori, per nuovi guadagni". Insediandosi e offrendo, all'inizio, servizi che risultavano particolarmente interessanti, come prezzi particolarmente bassi nella vendita di materiali scadenti e lavoro nero, la malavita si sarebbe poi occupata, successivamente, anche di smaltimento illecito di rifiuti, altro comparto che, secondo Minari, "avrebbe determinato un risparmio per gli imprenditori, anche se a danno dell'ambiente".
"Ora è fondamentale che non si pensi che con il maxi-processo Aemilia il problema sia completamente arginato - conclude l'esperto -. È importante mantenere alta l'attenzione, formare i professionisti in modo che ci siano gli strumenti per conoscere e riconoscere questi fenomeni, non solo da parte dei professionisti, ma anche del cittadino qualunque. Le organizzazioni hanno dimostrato di sapersi rigenerare e reinventare dopo il processo Aemilia. Continueranno a farlo, soprattutto dopo la pandemia, che ha generato una crisi economica senza precedenti, ma anche nuovi mercati".
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