Scrivere frasi offensive dirette a una persona sul proprio stato di WhatsApp costituisce reato di diffamazione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione in una pronuncia del luglio scorso le cui motivazioni sono state diffuse dallo Studio Cataldi e lette dall’AGI.
Nel suo ricorso contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Caltanissetta, l’imputato aveva sostenuto l’assenza della prova oltre ogni ragionevole dubbio che i messaggi fossero rivolti alla persona offesa e che potessero essere visti da tutti i suoi contatti nel telefono. Secondo la sua difesa, i contatti potrebbero non avere avuto l’applicazione più comune di messaggistica, ma i giudici replicano che «se avesse voluto limitare la visione delle parole rivolte alla donna sarebbe stato sufficiente mandarle un messaggio individuale». Gli è quindi stata confermata la condanna a un’ammenda di 3mila euro, oltre che al pagamento delle spese legali.
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