Oltre 1,5 milioni di italiani che hanno ricevuto il vaccino anti-Covid monodose di Johnson&Johnson devono fare una seconda dose con un immunizzante a mRna, ossia Pfizer o Moderna, a 6 mesi dalla prima. Tenendo conto che le prime somministrazioni sono partite in aprile, la nuova somministrazione dovrebbe presumibilmente cominciare da subito. Sarebbe questo l’orientamento della Commissione tecnico consultiva dell’Aifa che sta esaminando il dossier e che dovrebbe ufficializzare la propria decisione entro domani.
«Il tema non è se sia necessaria una nuova dose, perché questo è fuor di dubbio, l’intendimento è di indicare a tutti la somministrazione eterologa, ossia con vaccino a mRna, passati 180 giorni dall’inoculazione o per chi vuole anche prima», spiega il sottosegretario alla Salute Andrea Costa alla vigilia della decisione della Commissione tecnico consultiva dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) a cui il Ministero della Salute ha chiesto un parere. L’azienda Usa non ha trasmesso il dossier con la richiesta per il booster all’Agenzia europea del farmaco (Ema), ma lo ha fatto con la Food and Drugs Administration statunitense (Fda) che il 20 ottobre ha autorizzato la nuova dose raccomandandola a tutti coloro, dai 18 anni in poi, che abbiano ricevuto la prima dose almeno due mesi fa. A pesare, dicono gli esperti, è l’evidente calo di protezione dal virus di questo vaccino a pochi mesi dalla somministrazione. In realtà uno studio definitivo sul declino di efficacia ancora non è stato pubblicato, ma dai dati preliminari in circolazione nella comunità scientifica emerge la necessità di immunizzare nuovamente chi ha ricevuto il monodose di Janssen. In assenza di indicazioni definitive sulla durata dell’efficacia del vaccino J&J, gli scienziati ritengono infatti che gli studi pubblicati nel Regno Unito su AstraZeneca facciano testo anche per l'immunizzante di J&J, che usa lo stesso meccanismo ad adenovirus. «Credo che la Commissione dell’Aifa darà il via libera all’indicazione per fare la seconda dose per chi ha fatto il vaccino Johnson & Johnson, che avrà la funzione di un booster».
Ma «in prospettiva la dose di richiamo per tutta la popolazione sarà una misura necessaria e utile per avere un’ulteriore protezione del rischio, come vediamo in Israele», afferma Luca Richeldi, direttore dell’Unità di Pneumologia del Policlinico Gemelli Irccs di Roma. D’altronde, precisa, «le informazioni si acquisiscono col tempo, dobbiamo procedere verificando le ipotesi e abbiamo la fortuna di avere un’agenzia regolatoria che valuta tutte le evidenze». Per Costa, sulla terza dose di vaccino anti-Covid è ragionevole pensare ad una estensione della platea: «Credo che entro la fine dell’anno si potrà arrivare ai 50enni», ma ora è il momento di «un appello che dobbiamo fare a tutti quei cittadini per cui è già previsto il secondo richiamo: devono iniziare a prenotarsi sulle piattaforme regionali per aiutare da un punto di vista organizzativo e logistico». Intanto sull'obiettivo di arrivare al 90% di vaccinati, il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta commenta che «in questo momento, più che raggiungere questo tetto, dobbiamo pensare a coprire più over 50 possibili. Non mi soffermerei tanto sul 90%, darei priorità al convincimento di chi ha più di 50 anni e non è ancora immunizzato. La politica deve valutare come arrivare a questo obiettivo, prendendo in considerazione anche l’obbligo vaccinale per quella fascia d’età». Richeldi, dal canto suo, sui no vax sottolinea, «tra loro c'è chi ha posizioni ideologiche e non modificabili, ma anche persone che realmente credono che il vaccino non serva». Con queste ultime, «bisognerebbe fare un lavoro uno a uno» per spiegare che «vaccinarsi protegge il singolo individuo dagli effetti gravi della malattia e che vaccinarsi è anche un gesto di civiltà. Non possiamo - conclude - tornare a riempire gli ospedali di pazienti Covid come abbiamo visto mesi fa, quando non riuscivamo a curare le persone con infarto o con tumore».
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