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Bassetti: la variante Omicron ha un "pezzetto" del virus del raffreddore. Quadri clinici più lievi

Matteo Bassetti

«Dopo poco più di una settimana da quando è diventata famosa in tutto il mondo, grazie a ricercatori del Massachusetts sappiamo qualcosa in più sulla variante omicron. La nuova variante che ha terrorizzato forse ingiustamente il mondo, ha acquisito un "pezzetto" del virus del raffreddore comune. Ecco spiegato perché darebbe quadri clinici più lievi, rispetto alla Delta, molto simili al raffreddore». Lo scrive sulla sua pagina Facebook l’infettivologo Matteo Bassetti.

«Omicron grazie a questa aggiunta di materiale genetico del virus del raffreddore è più "umana" e meno animale rispetto al SarsCoV2 iniziale. Per questo sfugge più facilmente al nostro sistema immunitario che non la riconosce come totalmente estranea - aggiunge -. Si tratta di una ricerca molto interessante che, se confermata, dimostrerebbe per la prima volta che il virus del covid si sta spontaneamente indebolendo perdendo la sua forza iniziale di causare malattie gravi. A questo punto c'è quasi da sperare che la omicron soppianti la Delta e le altre precedenti varianti. Sarà anche forse più contagiosa, ma se assomiglia così tanto al raffreddore».

Variante Omicron, i test per scoprire se sfugge ai vaccini

Se sono necessarie due settimane per capire se la variante Omicron riesce a sfuggire ai vaccini, come è stato detto più volte da quando è arrivata la prima segnalazione dal Sud Africa, è perché questo è il tempo richiesto dai due test che permettono di avere la risposta. Su questa base, le aziende produttrici dei vaccini potranno decidere se aggiornare o meno i vaccini. I due test possibili, che probabilmente sono già in corso in molti laboratori del mondo, si basano sull'analisi degli anticorpi presenti nei sieri ottenuti da soggetti vaccinati e sull'analisi del comportamento dei linfociti T, ossia delle cellule immunitarie legate alla cosiddetta memoria indotta.

«Si tratta di due tipi di esperimenti che, in modo diverso, permetteranno di capire la tenuta dei vaccini attuali», rileva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Al primo gruppo appartengono i «test di sieroneutralizzazione», che utilizzano sieri ottenuti da soggetti vaccinati e permettono di vedere come gli anticorpi siano o meno in grado di neutralizzare il virus Omicron. «A questo scopo - osserva - si può utilizzare la variante Omicron tal quale del virus SarsCoV2, ma questa è una strada rischiosa poichè richiede l’isolamento della stessa su colture cellulari con produzione di stock virali di variante Omicron, oppure si possono utilizzare pseudovirus, ossia virus modificati inerti, inserendo tutte le 35 mutazioni della variante Omicron». Mettendo a contatto il virus con gli anticorpi contenuti nei sieri dei soggetti vaccinati a diverso titolo è possibile osservare se la variante riesce o meno a sfuggire agli anticorpi neutralizzanti indotti dal vaccino.

Il secondo banco di prova è un test di citofluorimetria per verificare l’efficienza della memoria dei linfociti T, ossia l'immunità cellulo-mediata: «potrebbe essere più plastica e proteggere dalla variante Omicron. In questo caso si va a vedere se, a contatto con l’antigene Spike della nuova variante, i linfociti T memoria sono ancora in grado di riconoscerla nonostante le diversità presenti tra la proteina Spike della Omicron e quella del vaccino, misurando la produzione specifica di interferone a seguito della stimolazione antigenica», spiega il virologo. La tecnica che permette di controllare se questo avviene e in che misura si chiama Elispot (dall’inglese Enzyme-Linked immunoSPOT): «È un approccio molto usato per misurare la risposta della memoria cellulare», osserva.

«Entrambi questi tipi di esperimenti richiedono un tempo di circa due settimane», aggiunge. Sarebbe interessante, inoltre, misurare la risposta dei linfociti T dei pazienti che hanno avuto la malattia per valutare la protezione cellula-mediata in soggetti che hanno avuto il COVID. Dal punto di vista epidemiologico, intanto, si potrebbe verificare la percentuale di infezioni da variante Omicron rispetto alla Delta nelle persone vaccinate. Molto probabilmente, rileva Broccolo, «per avere la risposta non dovrebbe essere necessario il sequenziamento per tutti: considerando che Delta è di gran lunga la più diffusa, i tamponi molecolari multitarget permettono già di individuare un sospetto caso da variante Omicron». Quest’ultima ha infatti una caratteristica che i test possono riconoscere in quanto è presente solo nella variante Alfa, ora praticamente scomparsa: si tratta delle delezione 69-70. «Se i test individuassero questa delezione, allora - conclude l’esperto - si potrebbe cercare la conferma nel sequenziamento».

 

 

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