I vaccinati contro il covid presentano anticorpi neutralizzanti anti-Spike nel sangue ma non nella saliva, questo potrebbe spiegare perché la vaccinazione a mRNA è efficace e protettiva contro la malattia severa ma meno performante nel blocco dell’infezione e quindi della circolazione del virus. Questi dati sono emersi in uno studio condotto dall’Università dell’Insubria e dall’Asst dei Sette Laghi sulla risposta immunitaria mucosale evocata dalla vaccinazione anti-Covid19 con Pfizer-BioNTech, pubblicato su EBioMedicine, rivista dell’importante gruppo editoriale The Lancet.
La ricerca
La ricerca «Mucosal immune response in BNT162b2 COVID-19 vaccine recipients» si basa su un’indagine che ha coinvolto 60 operatori sanitari dell’ospedale varesino. Lo studio dimostra che, dopo il completamento del primo ciclo di due dosi di vaccino, tutti i soggetti immunizzati presentano anticorpi neutralizzanti anti-Spike nel sangue ma non nella saliva, nella quale sviluppano anticorpi neutralizzanti solo gli individui precedentemente esposti all’infezione naturale e le cui mucose orali sono state a contatto con gli antigeni virali. Questi dati spiegano almeno in parte perché la vaccinazione a mRNA sia efficace e protettiva contro la malattia severa ma meno performante nel blocco dell’infezione e quindi della circolazione del virus tra i soggetti vaccinati. Lo studio è stato coordinato dal punto di vista clinico da Lorenzo Azzi, ricercatore odontoiatra e patologo orale, e da Daniela Dalla Gasperina, ricercatrice in Malattie infettive e attualmente coordinatrice delle attività cliniche dell’Hub Covid dell’Ospedale di Circolo di Varese; il disegno sperimentale dello studio è stato condotto e coordinato dalla professoressa Greta Forlani, direttrice del Laboratorio di Patologia generale e immunologia Giovanna Tosi. «Oggi il riacutizzarsi della pandemia - spiegano Lorenzo Azzi e Greta Forlani - fa emergere sempre con maggiore urgenza la necessità di indurre un’immunità sterilizzante per bloccare la diffusione del virus. A nostro parere per raggiungere questo obiettivo occorre rafforzare le difese immunitarie a livello delle vie aeree, sviluppando ad esempio preparazioni vaccinali somministrate nel cavo orale o nelle vie nasali, che rappresentano la prima barriera all’ingresso del virus nell’organismo. Sulla base delle evidenze sperimentali ottenute da questo primo studio, stiamo valutando l’andamento della risposta immunitaria umorale nel siero e nelle mucose negli stessi soggetti a circa sei mesi dal termine del ciclo vaccinale e dopo il terzo boost antigenico».