La crisi è quell’intervallo che esiste tra il crollo di un sistema e la nascita di un sistema nuovo. È, in pratica, come essere in mezzo a un fiume: non sai mai quando e in che stato arriverai sull’altra sponda. Ecco, vi abbiamo descritto il mondo attuale. Un pianeta senza più certezze, dove tutti i determinismi sono andati a farsi friggere e in cui comanda la complessità. Strappate tutte le ricette magiche, bruciate i sacri testi della conoscenza, perché oggi si impara solo “giorno per giorno”. L’umiltà, dell’esperienza e dell’osservazione, insegna più di cento tomi pseudorazionalistici. E Locke e Hume ci soccorrono più di Cartesio. Insomma, il mondo si è aperto clamorosamente e non è come ce lo aspettavamo. È un sistema in cui gli elementi che lo compongono agiscono sempre più velocemente, in modo multipolare. Quindi sono imprevedibili e, transitivamente, ingovernabili. Possiamo difenderci solo adottando una tecnica di “risposta flessibile”. Fin qui il metodo. Ma ora andiamo alla sostanza delle cose.
La pandemia da coronavirus è stata l’elemento catalizzatore, capace di “saldare” le varie aree critiche. Ha messo assieme asimmetrie sociali, economiche e ambientali. L’architettura della crisi planetaria ha fatto perno sul Covid-19 per scoperchiare un pentolone, dove ribollivano le altre contraddizioni. Qualsiasi analisi “grandangolare” deve quindi partire dallo stato attuale della pandemia. «Creo que nos enfrentamos a un tsunami de infecciones, en elmundo, tanto de “delta”, cuanto de omicron»: così titola il quotidiano spagnolo “El Paìs” nella sua intervista esclusiva a Maria Van Kherkove, direttrice del dipartimento “Malattie emergenti” dell’OMS a Ginevra. La scienziata americana mette tutti sull’avviso, calibrando parole pesanti, a nome dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La sintesi dell’intervento è molto chiara: è inutile inseguire il virus, aspettando che gli ospedali comincino a riempirsi prima di dichiarare l’emergenza. Bisogna agire di corsa, molto prima, anticipando il dilagare del contagio e tenendo conto che il vero picco comincerà dopo Natale. L’OMS pubblica un “weeklyepidemiological update” sul progredire della pandemia. L’ultimo bollettino parla di oltre 273 milioni di casi nel 2021 e di circa 5 milioni e mezzo di morti nel mondo. La curva mostra un andamento ciclico, con una significativa ripresa del contagio, a partire dalla fine di settembre, prima più lento e poi sempre più veloce.
Un’analisi comparativa tra i dati offerti per l’Europa e quelli raccolti per l’Africa mostra una sproporzione abissale, che fa pensare come proprio il Continente nero possa essere la gigantesca variabile impazzita del Covid-19. Nei poverissimi “slums” delle megalopoli africane, cresciute disordinatamente e senza infrastrutture di servizio, potrebbero covare focolai infettivi giganteschi. Tutto ciò mentre Omicron già dilaga in America e in Europa.
Dicevamo che la pandemia ha avuto effetti collaterali devastanti sulla nostra quotidianità. Ha cambiato stili di vita, mentalità e aspettative. Già, aspettative. Una componente fondamentale dell’economia contemporanea. I diversi settori produttivi, distributivi, la finanza, i programmi d’investimento di lungo periodo hanno sofferto il consolidarsi di una congiuntura sempre più negativa. Il crollo dei Pil e le recessioni a catena sono stati seguiti da “rimbalzi” nella crescita che, con un effetto “jo-jo”, hanno rispecchiato l’andamento altalenante del contagio. Ognuno, poi, si è mosso a modo suo. Non tanto per il “come”, con lo Stato tornato regista dell’economia dappertutto, ma piuttosto per il “quanto” (il livello delle risorse “a debito” da impiegare). E anche, non meno importante, per il “fino a quando”. Stiamo ponendo una domanda basilare per qualsiasi sistema-Paese: non rischiamo di trasformare l’eccezionalità nella normalità? La nostra idea è che si stia cantando troppo presto vittoria, a tutte le latitudini, per una “ripresa” che ancora zoppica vistosamente. Anzi, arranca.
L’aumento dei Pil, che in tempi normali sarebbe da boom “cinese”, attualmente è drogato dalle cadute verticali subite nel 2020. D’altro canto, e questo è il vero spettro che si aggira per i mercati in questa fase, la “ripresina” si sta tirando appresso un’inflazione che non si vedeva da quarant’anni. Almeno in alcuni Paesi, onusti di allori e di gloria capitalistica. Gli Stati Uniti sono già quasi al 6,5%, e di questo passo Joe Biden finirà per giocarsi le elezioni di Medio termine. Anche in Germania le campane suonano a morto. Traumatizzati dall’inflazione di Weimar (1 kg di pane costava 400 miliardi di marchi), i tedeschi ora devono fare i conti con un’inflazione al 6,3% e con un Pil asfittico, che quest’anno crescerà di un “misero” 2,7%.
Ambiente. «Blablabla» doveva essere, per dirlo alla Thurnberg, e “blablabla” è stato. Con una fiumana di ponderosi “committment” (impegni), seguiti da un rivolo finale con nessuna “obligation” seria. E così, almeno fino a quando si è parlato di ambiente e di catastrofe climatica planetaria, i protagonisti del recente G20 e della COP26 di Glasgow se la sono cavata solo con una raffica di belle parole. Il deterioramento ambientale è incalzante, come purtroppo rivela l’ultimo “ClimateTrasparency Report”, che fa la radiografia al comportamento dei Paesi del G20. Che promettono assai e stringono poco, ma vengono poi smascherati dai numeri, di fronte ai quali non si può bluffare. In effetti, il monitoraggio della “ClimateTrasparency” è stato esibito alla “COP26”, la Conferenza delle Parti promossa dall’ONU. Un’altra comparsata. Dove si è annacquata la decisione di arrivare “a emissioni zero” di CO2 entro il 2050. Si è parlato solo di raggiungere quest’obiettivo, «all’incirca verso la metà del secolo». Cina e India, però, non ci stanno. Accusano gli occidentali di avere costruito il loro sviluppo facendo della Terra una camera a gas. «Mentre ora pretendono di dettare a tutti il galateo del comportamento ambientale». Già.
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