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Berlusconi non molla il Quirinale ma pressing per passo indietro. Il M5S si interroga

E’ persuaso di potercela fare, Silvio Berlusconi. Dovrebbe ribadirlo ai leader del centrodestra, convocati all’ora di pranzo a Villa Grande per parlare di Quirinale. Il sostegno degli alleati è «convinto e compatto», lo rassicura Matteo Salvini. Ma la Lega chiede ormai apertamente di lavorare a un piano B e si intensifica il pressing della coalizione sul Cavaliere perché dimostri da subito, con i numeri, di avere chance di elezione. A far rumore sono le parole di Gianni Letta, il più autorevole dei consiglieri berlusconiani, che invita «i grandi elettori, parlamentari e non», a «ispirarsi alla lezione» giunta dalla commemorazione in Parlamento di David Sassoli e «guardare agli interessi del Paese e non alle differenze di parte».

Un appello a tutti, ma che in casa Fi in diversi interpretano come rivolto anche allo stesso Cavaliere. Gianni Letta rompe il suo silenzio, pronuncia il suo auspicio per un «clima» di «serenità e armonia», all’uscita dalla camera ardente di Sassoli. Poi raggiunge Villa Grande, dove trascorre diverse ore con Berlusconi. Nessun problema tra i due, assicurano da Fi. Nonostante da settimane le cronache politiche - non smentite - raccontino dei tentativi da parte dello storico braccio destro di convincere il Cavaliere a non andare alla conta in Parlamento, ma fare il kingmaker del nuovo presidente. Sarebbe questo l’auspicio dell’area moderata di Fi, che guarda ai ministri: non escono allo scoperto, per non rompere il fronte azzurro, ma vedono i rischi, anche sulla tenuta del governo, di giocarsi il tutto per tutto.

Lui, Berlusconi, si mostra più che determinato: a cena ospita Manfred Weber, il capogruppo del Ppe, che gli porta «il totale sostegno della famiglia del Partito popolare europeo». A villa Grande continua a tenere aggiornato il pallottoliere, con i capigruppo: il centrodestra conta sulla carta circa 450 grandi elettori, ne mancano quindi una sessantina alla maggioranza assoluta, ma ne servono di più, se si vuol stare al sicuro dai franchi tiratori. «Oggi abbiamo tre voti in più, siamo a circa venti voti oltre il centrodestra ma la situazione è molto difficile», ammette Vittorio Sgarbi, attivissimo al fianco del Cavaliere. Ma è difficile che Berlusconi molli la spugna subito, quindi il vertice con Salvini, Giorgia Meloni e i capi dei partiti centristi non dovrebbe essere risolutivo. Meloni chiederà però garanzie di «compattezza» alla coalizione, nel timore che alla fine il Cav si ritiri e faccia un accordo con il Pd, magari anche su una legge elettorale proporzionale. Non passa inosservato, in questa chiave, l’annuncio della presenza lunedì a Strasburgo, per la commemorazione di Sassoli, di Mario Draghi, oltre a Enrico Letta e Berlusconi, quasi fosse un crocevia della 'maggioranza Ursulà. Anche la Lega tiene la guardia alta: «I signorini del Pd non pensino di arraffare Palazzo Chigi e il Quirinale con una "maggioranza Ursula", avvertono. Ecco perché, spiega anche Matteo Renzi, in caso di elezione di Draghi al Quirinale l'alternativa a un governo senza la Lega sarebbe un governo con dentro tutti i leader, evocato dallo stesso Salvini. Il segretario leghista, che nella partita vuol continuare a dare le carte, pensa che sarebbe sciocco non valutare un piano B e, mentre rassicura Berlusconi chiedendo al Pd di «togliere veti" dal suo nome, mantiene contatti con i leader del centrosinistra, da Letta a Giuseppe Conte.

«In queste ore c'è qualche elemento di dialogo positivo, ma siamo appena all’inizio», dice il segretario Pd, che prosegue i suoi contatti che dovrebbero portarlo a incontrare anche Renzi. Mentre Giuseppe Conte prova a compattare i gruppi M5s: gli assicura che il Movimento sarà «ago della bilancia», dice sì al dialogo col centrodestra ma non su Berlusconi, chiede e ottiener dai suoi un mandato per trattare anche per «garantire l’azione del governo» (niente voto anticipato). Tra i Dem e i Cinque stelle resta forte l’auspicio di un Mattarella bis, ma il presidente sarebbe irremovibile nella sua indisponibilità al secondo mandato e inoltre, osserva ancora Renzi, Salvini e Meloni «non gli chiedono di restare». «Mi sembra un’ipotesi inutile», dice in effetti il leghista. Che per il piano B penserebbe piuttosto a un nome di area centrodestra che possa raccogliere un consenso largo, come Pier Ferdinando Casini, Marcello Pera, Letizia Moratti (Giuliano Amato non sarebbe nella rosa, Elisabetta Casellati viene considerata la carta di riserva di Berlusconi). Ma in campo resta Draghi, insistono i Dem, dopo che il veto di Salvini sul governo - e sul trasloco del premier al Colle - è caduto.

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