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I danni della pandemia, drammatica testimonianza dal Gaslini: "I bambini mi dicono che vogliono morire"

Una veduta dell'Ospedale Pediatrico Giannina Gaslini di Genova

«Cosa mi è finora rimasto impresso di questi ultimi due anni? I bambini che mi dicono che vogliono morire». Le parole di Lino Nobili, primario di neuropsichiatria infantile dell’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, sono la testimonianza di come la pandemia abbia segnato un’intera generazione.

Una ragazzina di 13 anni ha provato due volte a togliersi la vita

«Abbiamo in ricovero una ragazzina di 13 anni - racconta all'AGI- Ha provato due volte a togliersi la vita e mi dice, ancora una volta, "tanto lo sai come andrà a finire". Ed è sempre lei a confessarci che quando si alza per andare a trovare un altro paziente, non è per gentilezza, ma per vedere se nel tragitto trova qualcosa con cui farsi del male».

«Con le lunghe degenze siamo in costante perdita: il drg (rimborso che si chiede alla Regione per il ricovero, ndr) non è sufficiente. Abbiamo ragazzi entrati 5 o 6 mesi fa. Una piccolina che ha tentato di togliersi la vita la scorsa estate a luglio è ancora ricoverata da noi. Ora le ho forse trovato una comunità, ma in Lombardia - spiega Nobili - perchè qui non ci sono spazi in strutture. Per lei la comunità rappresenta una valida alternativa perchè proviene da un contesto di case popolari dove era estremamente bullizzata».

Il fatto, spiega ancora Nobili, è che «il paziente arriva con un acuzie, noi mettiamo a posto le acuzie, gli facciamo fare una degenza ordinaria e una volta dimesso cosa gli succede? Lo perdiamo e anche il lavoro terapeutico funziona male. Le comunità terapeutiche ad alta intensità mancano qui a Genova».

"I ragazzi vogliono essere capiti"

Non è certo solo un problema di soldi e di freddi bilanci: il lavoro deve cominciare prima, osservando i più piccoli a casa, a scuola, in palestra. Isolamento, sonno disturbato, ossessione verso l’attività fisica, simbiosi col pc, sbalzi d’umore, autolesionismo sono segnali da cogliere per individuare la presenza di un disturbo psichiatrico, spiega Nobili: «I ragazzi, quando vengono qui, chiedono tutti solo quella cosa lì - dice stringendo il pugno tra la bocca dello stomaco e il cuore - ovvero, sentirsi compresi. Vogliono essere guardati, capiti, amati. Tutti chiedono aiuto e lo fanno attraverso varie espressioni. Vogliono sentire che il tuo aiuto è sincero. Senza questo - conclude - i fragili si perdono».

"C'è senso di vuoto in questi ragazzini"

Il primario spiega che le fragilità sono presenti in ogni essere umano e «questa situazione legata al Covid ha funzionato da trigger ulteriore: c'è solitudine, assenza di prospettiva e senso di vuoto in questi ragazzini - dice - e non dipende solo dal contesto sociale perchè abbiamo visto ragazzi provenire sia dalla periferia, specialmente Pontedecimo e Bolzaneto, sia da ambienti più elevati. La ragazzina di 13 anni che abbiamo ora in ricovero viene da una famiglia di un livello culturale estremamente alto e di ottimo livello sociale. E’ una ragazza estremamente intelligente. Ma questi ragazzini, invece di andare in strada, sfasciare tutto e far la rivoluzione, si infliggono del male. Il motivo è semplice: si sfascia se si ha davvero l’obiettivo di cambiare il mondo. I ragazzi che abbiamo visto arrivare qui non hanno più la voglia di cambiare il mondo, c'è rassegnazione, la vita ha poco significato e gli esiti sono drammatici».

Le mancate risorse per la psichiatria

Di fronte a questa realtà non vedere rinnovato il bonus psicologo dal governo è stato un ulteriore colpo, ammette il primario del Gaslini: «Il fatto è che la psichiatria è una gara in perdita, non crea business. Per questo settore non ci sono fondi chiari e ben definiti e il bonus sì, sarebbe servito». Così come, evidenzia Nobili, sarebbero necessarie risorse per fare prevenzione ed evitare che si arrivi all’accesso al pronto soccorso, «investendo sui territori, sulla scuola, sullo sport, intercettando il disagio di questi ragazzi ovunque», prima che esploda.

Da gennaio ad aprile 2021 8 unde14 al Gaslini hanno tentato il suicidio

La ragazzina, spiega il medico, è italiana e proviene da un buonissimo contesto sociale. La sua è depressione ed è esplosa in pandemia. «Prima del Covid - spiega Nobili - avevamo già un incremento delle patologie psichiatriche in età pre e adolescenziale: dal 2011 abbiamo sostanzialmente assistito a una crescita della curva, con un costante +7% annuale. Questo incremento di casi - prosegue - faceva il paio con intensità e sintomatologia più forti. La pandemia poi, ha peggiorato tutto». I dati mostrati da Nobili sul file excel, che tiene con cura e aggiornato sul pc, parlando chiaro: «Dal 2019 al 2021 gli ambulatori urgenti per neuropsichiatria, ovvero casi inviati dai pediatri, hanno registrato il doppio degli accessi - spiega mostrando le colonne in salita - Idem per i casi più gravi, ovvero gli accessi diretti al pronto soccorso: solo nel periodo gennaio aprile 2021 sono stati il doppio. L’ideazione suicidaria tra gli under 14 era bassissima nel 2019, mentre oggi è schizzata su numeri ben più alti. Se prendiamo in riferimento sempre il periodo gennaio - aprile 2021, al Gaslini abbiamo avuto 8 under 14 che hanno tentato il suicidio: un ragazzino dimesso da noi a dicembre, apparentemente in buone condizioni, si è buttato dalla finestra nuovamente. Ora tornerà da noi».

L'obiettivo: creare una palazzina tutta dedicata alla psichiatria

Al Gaslini vengono trattati in Neuropsichiatria i ragazzini sotto i 14 anni, «mentre purtroppo gli altri under 18 vanno negli ospedali degli adulti. Ed è un dramma» sottolinea il neuropsichiatra. Sulla sua scrivania ci sono brochure, appunti, grafici: sono i mille progetti che desidera portare a termine per alleviare la sofferenza dei più piccoli, per curare la loro malattia: «Stiamo lavorando per avere risorse umane e spazi per loro. Vogliamo realizzare qui al Gaslini una palazzina tutta dedicata alla psichiatria, con un piano per le degenze acute (4-5 pazienti al massimo per una decina di giorni), e uno per quelle riabilitative, con una retta di rimborso diversa, che ci consenta di sopravvivere. L’idea è partire a settembre con i lavori». L’altro obiettivo è prendere un’altra delle palazzine del nosocomio «la nostra comunità, con tanto di orto e magari un ristorante dove impiegare i ragazzi, perchè tutti loro hanno bisogno di fare cose, di progettualità concrete immediate che facciano dire loro «questa piantina l’ho fatta crescere io», o «questa torta l’ho preparata io"», dice. Avere uno spazio, una comunità è un modo per rispondere contemporaneamente a due problemi: da un lato la carenza di strutture che possano seguire il percorso terapeutico del minore una volta dimesso dall’ospedale, dall’altro evitare la costante perdita economica che le lunghe degenze di questi piccoli pazienti comportano al nosocomio.

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