Difesa dal Covid e attacco militare. Due "guerre" differenti scuotono l'umanità, ora che la Russia di Putin ha messo nel mirino la povera Ucraina, quasi dimenticando l'emergenza sanitaria. Lete, oblio. Altre priorità condizionano, di conseguenza, l'agenda di un'opinione pubblica mondiale frastornata dalla violentissima aggressione via terra e aria e che sembra fare meno caso al virus. Eppure, nella Federazione con capitale Mosca, negli ultimi giorni si è registrata una media di oltre 150mila nuovi positivi, con oltre 750 decessi, nemmeno il 55% di prime dosi di vaccino, solo quasi la metà della popolazione sottoposta a ciclo completo e appena l'8% con il richiamo in corpo.
Risposte debolissime, quindi, alla campagna contro la pandemia, segno, molto probabilmente, che Putin già da tempo fosse più concentrato sulla pianificazione delle operazioni belliche che sull'indottrinamento del suo popolo circa le buone pratiche da seguire per contrastare il SarsCoV2. Quest'ultimo si staglia quindi come un lontano ricordo soprattutto per il contingente schierato sul campo di battaglia: dal nemico invisibile ma fatale - la pandemia appunto - si è passati al nemico riconoscibile, quella Ucraina a cui si contendono i territori del Donbass, Donetsk e Lugansk. Mnemosine, memoria. E anche nel Paese di Zelensky si assiste a un improvviso rovesciamento di fronte: dai morti per il virus a quelli uccisi dall’invasore, che rischiano di superare i primi. Dasvidania Covid.
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