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Il baratro oltre le “ragioni”. Spingersi fino a che punto?

sostenuti dal fiume di armi che l’Occidente sta assicurando, gli ucraini resisteranno a oltranza contro gli invasori, che alzeranno il livello degli attacchi, chissà se fino all’apocalisse nucleare

La sopravvivenza di un popolo, affermava Milan Kundera nel 1967, dipende dalla forza dei suoi valori culturali. Il che esige il rifiuto di qualsiasi interferenza da parte dei «vandali».
Sospinti da forza interiore e sostenuti dal fiume di armi che l’Occidente sta assicurando, gli ucraini resisteranno a oltranza contro gli invasori, che via via alzeranno il livello degli attacchi, chissà se fino all’apocalisse nucleare nella insensata declinazione della “bassa intensità”. Kundera oggi non potrebbe sostenere, come fece negli anni Ottanta, che l’Occidente aveva assistito inerte alla «sparizione» dell’estremo lembo d’Europa, Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, che tra il ‘56 e il ‘70 avevano dato vita a rivolte contro l’oppressore moscovita, sorrette dal «connubio di cultura e vita, creazione e popolo». Perché Usa, Gran Bretagna e Unione europea, a seconda delle proprie capacità di cassa, stanno inondando Kiev di denari e artiglieria pesante: lo “Zar” non deve passare è la parola d’ordine delle cancellerie atlantiche e mediterranee.

A 33 anni di distanza dalla caduta del Muro di Berlino, che avrebbe dovuto anche consegnarci una diversa concezione della mappa mentale dell’Europa, siamo di fronte all’invasione di un Paese sovrano in nome della ferma convinzione russa che i “lembi di terra” ucraini appartengono storicamente, e culturalmente, al Cremlino. Dal 2014 ad oggi si è “taciuto” sulla Crimea, mentre si combatteva in Donbass e l’Occidente se ne restava sulle sue, ma di fronte all’avanzata al centro e ad ovest della nazione di Zelensky non si poteva non reagire. Il nodo adesso è: fino a che punto?
Armi a potenza crescente, finanziamenti e allargamento dell’Alleanza atlantica sono gli strumenti che i “difensori delle libertà e delle democrazie” hanno individuato per arginare l’“orso russo”. Quanto alle sanzioni, è evidente che appaiono del tutto risibili oltre a palesare una profonda ipocrisia occidentale: il gas si paga in euro e ci pensa poi la Gazprombank a convertire i bonifici in rubli.

Putin gioca una partita su due campi: la guerra contro gli ucraini, e poco importa in questa fase quanto territorio vorrebbe annettersi a est; e il conflitto economico contro l’Europa e l’Occidente, che incombe sui suoi confini attraverso una Nato pronta ad ampliarsi ancora, verso le regioni più settentrionali del continente. Se gli Stati Uniti stanno portando avanti una guerra per procura, il che va affermato senza giri di parole, parte dell’Europa rischia di pagare un dazio imprevisto fino a tre mesi fa e fatale. Italia e Germania su tutte, dipendenti come sono dal gas russo e niente affatto unite al loro interno nella “lettura” da dare al conflitto russo-ucraino. Più andrà avanti la guerra e più le società occidentali mostreranno divisioni al loro interno, strette come saranno da inattese emergenze economiche. Si resta attoniti da come troppe “nazioni opulente” stiano in questa fase rinunciando così apertamente a effettuare pressioni autentiche per la ripartenza dei negoziati. Ciò mentre in via parallela più d’uno soffia sul fuoco. Il “cupio dissolvi” non servirà a nessuno, portare avanti ancora per mesi il conflitto un azzardo foriero solo di guai planetari.

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