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Dalla Calabria a Roma. Cesare Ruperto, una vita per la Giustizia

Il Presidente emerito della Corte Costituzionale originario di Filadelfia affronta i temi della riforma Cartabia e dei recenti referendum e si sofferma sui passaggi fondamentali della sua lunga carriera

Cesare Ruperto

Giurista e accademico, già presidente della Corte Costituzionale, Cesare Ruperto, nato a Filadelfia, nel Vibonese, nel 1925, è un vanto e un orgoglio per la sua terra, nella quale ritorna ogni estate e verso la quale nutre un affetto mai sopito. In una lunga intervista per “Gazzetta del Sud”, abbiamo sentito il presidente emerito della Corte Costituzionale su vari argomenti come i recenti quesiti referendari, sonoramente bocciati dalla bassissima affluenza, e la riforma Cartabia e su altre tematiche quanto mai attuali, coinvolgendolo inoltre sui passaggi fondamentali della sua carriera.
Legge Severino sull’incandidabilità, limitazione delle misure cautelari, separazione delle carriere, valutazione dei magistrati, candidature dei togati al Csm. Cosa pensa del referendum?
«Premetto innanzitutto che sono sempre d’accordo sullo “strumento di democrazia diretta” quando sia possibile, ovviamente, dare voce in prima persona al cittadino. A mio parere, l’incandidabilità in caso di condanna è una misura più che ragionevole in se stessa e, pertanto, andrebbe confermata. Tuttavia, mi soffermo sulla necessità di un’applicazione assennata del principio, dando, all’occorrenza, anche spazio alle valutazioni dei giudici per evitare rischi di conseguenze negative nella vita privata di persone note o “vuoti” nell’attività pubblica. Le critiche possono essere rivolte, semmai, alle modalità di applicazione, ma non alla legge Severino in se stessa. Per quanto riguarda la “separazione delle carriere”, ecco che l’argomento riappare, con “cadenza ritmata” e da tempo immemorabile, ogni qualvolta entrino in gioco temi riformisti della giustizia. Senza dilungarmi troppo, confermo di essere sempre stato assolutamente a favore della separazione fra magistratura giudicante e magistratura requirente essendo – cito Giovanni Conso – diverse le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice».
La riforma della guardasigilli Cartabia? Di recente, l’Associazione nazionale magistrati ha criticato alcuni suoi punti, tra i quali il fascicolo personale, i rapporti con la stampa e gli avvocati che valutano i Pm. Tant’è che, lo scorso mese, è stato indetto uno sciopero. Un suo commento in merito?
«Anche qui si affronta un punto “sensibile” del nostro sistema giudiziario, in particolare per ciò che riguarda il cosiddetto peso delle correnti. La Magistratura non può prestarsi a equivoci, dovendo insegnare essa stessa ai cittadini la strada da seguire. Per cui evitiamo correnti che possano apparire quasi come “partiti”. La semplice candidatura è più che sufficiente, incentrando la decisione sulle qualità morali e professionali del magistrato, al di fuori di opinioni e orientamenti politici. Per quanto riguarda la valutazione, il disegno Cartabia è accettabile e non dovrebbe, a mio parere, preoccupare più di tanto il Csm. Estendendo la possibilità di valutazione sugli operati anche a componenti “laiche”, riduciamo al minimo i sospetti di logiche corporative, valorizzando, semmai, la sua attività di organo di grande rilievo costituzionale quale è».
Nel ruolo di presidente della Corte Costituzionale si è trovato a dover affrontare anche argomenti particolarmente spinosi. Ce n’è uno che ricorda più degli altri?
«Come si può immaginare, argomenti spinosi al vaglio della Corte Costituzionale non sono mancati e non mancano. Ma mi soffermerei, più che su questioni di valenza politica, su un caso dai risvolti particolarmente umani – se posso così definirlo – che capitò nel mese di novembre 2001, quando feci togliere il Crocifisso che campeggiava nella sala Udienze del Palazzo della Corte Costituzionale, dopo che si era danneggiato per lavori di ristrutturazione, sostituendolo con un quadro sacro. Ebbene, ne nacque addirittura un “caso” complesso che scatenò l’amarezza dei giudici credenti a fronte dell’entusiasmo di quelli laici. A smentire sospetti antireligiosi, io, peraltro cattolicissimo da sempre, ricordai a tutti un vecchio suggerimento di Calamandrei: “il simbolo di Cristo i magistrati dovrebbero averlo davanti a loro, non alle spalle”. Del resto, la Corte è organo costituzionale che si pronuncia sulle leggi e non sugli uomini; non ha senso produrre il dubbio che giudichiamo secondo principi extra giuridici».

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