«C'ha quattro commercialisti novantenni che firmano al posto suo (...) novant'anni che gli devono fare a un commercialista di novant'anni? Niente!». Così Martino Tarasi, «appartenente alla famiglia Arena» della 'ndrangheta e presunto capo del clan collegato e radicato in provincia di Bergamo, raccontava, intercettato, come il commercialista Giovanni Tonarelli (in carcere e che avrebbe fatto parte dell’associazione mafiosa) si preoccupasse «di non comparire personalmente», potendo «contare su collaboratori che gli facevano da "prestanome" per gli adempimenti più pericolosi».
L’inchiesta che ha portato oggi a 33 arresti è la prosecuzione della «operazione Papa», scattata dopo un incendio doloso nel 2015 in un’azienda di ortofrutta nel Bergamasco. Dalle indagini, poi, è venuto a galla, si legge nell’ordinanza del gip di Brescia, che «all’interno della P.P.B. Servizi&Trasporti srl si erano insediati alcuni soggetti collegati alla criminalità organizzata di Isola Capo Rizzuto», ossia proprio Martino Tarasi, marito della figlia di Giuseppe Arena «scomparso a seguito di "lupara bianca"». Tarasi, secondo le accuse, avrebbe messo in piedi un’organizzazione specializzata in reati «economico-finanziari con modalità standardizzate e professionali» basata su una serie di società «cartiere». In un’intercettazione del gennaio 2020 diceva: «Solo fatture, dalla mattina alla sera (...) avevo due tre ragazzi con due tre aziende (...) loro fatturavano a sti clienti, i clienti gli facevano il bonifico (...) e io glieli riportavo in contanti e mi tenevo il 10%, il 15». Ed un «ruolo fondamentale» nel mettere a segno le presunte frodi fiscali l'avrebbe avuto proprio il commercialista Tonarelli.
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