«Io piuttosto che ridarti indietro l'azienda te la brucio con la benzina». Lo diceva a luglio 2019 Francesco Patamia, arrestato dalla Guardia di finanza di Bologna nell’operazione "Radici", parlando con una persona ritenuta vittima di un’estorsione compiuta dallo stesso Patamia (candidato alle recenti elezioni per "Noi Moderati) in concorso con il padre Rocco e altro indagato.
La Procura gli contesta in questo caso anche l’aggravante mafiosa, per aver agito mediante l’uso della forza intimidatrice, di assoggettamento e di omertà con riguardo alla 'ndrangheta e in particolare per i rapporti tra i Patamia e i loro investimenti e la cosca dei Piromalli. Gli indagati, secondo le accuse, costrinsero la vittima ad accettare condizioni diverse e più gravose da quelle pattuite in occasione della stipula del contratto di cessione di un ramo d’azienda, con sede del Ravennate. «Se ti rivolgi a un avvocato sappi che ci saranno delle conseguenze» è un’altra delle frasi intimidatorie agli atti dell’inchiesta. Patamia e il padre sono ritenuti dagli inquirenti promotori di un’associazione a delinquere semplice per commettere una serie di reati come bancarotta, autoriciclaggio, intestazione fittizia e estorsione. L'inchiesta conta 34 indagati.
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