Il tecnico incaricato delle pratiche per la concessione dei fondi per la ricostruzione del post terremoto del 2012 nel Mantovano e nel Reggiano, nelle intercettazioni eseguite dai carabinieri di Mantova nell’operazione Sisma, parlando con gli imprenditori spiegava che «io come ditta non posso lavorare nel sisma perché mio nonno era mafioso». «Io da sei anni son il Rup (Responsabile unico procedimento, ndr) di Poggio Rusco, Villa Poma, Magnacavallo e Sermide. Io sono chi realizza la pratica, chi realizza le ditte e chi fa l'ordinanza di concessione. Se ne prendi sessanta, settanta, grazie a un mio agire sei contento o no?».
Anche ingegneri e imprenditori nella rete della Dda
L’operazione Sisma dei carabinieri di Mantova ha dimostrato «la rinnovata influenza» della cosca Dragone, nell’area mantovana-reggiana rispetto a quanto scoperto con la precedente indagine «Pesci», sempre dei carabinieri mantovani e della Dda di Brescia che aveva rilevato gli interessi della cosca Grande Aracri. Al centro dell’indagine 'Sismà il nipote di uno storico boss cutrese, pubblico ufficiale con la carica di tecnico istruttore nei comuni compresi nel cosiddetto «cratere sismico» della provincia di Mantova (Poggio Rusco, Borgo Mantovano, Magnacavallo, Sermide e Felonica) incaricato di istruttorie, di verifica, di rendicontazione e di autorizzazione ai pagamenti dei contributi a fondo perduto stanziati da Regione Lombardia per gli immobili danneggiati dal terremoto del 2012. Gli imprenditori, così come i beneficiari dei finanziamenti, si sarebbero rapportati con il tecnico secondo uno schema collaudato: la corresponsione di somme (in genere pari a circa il 3% del contributo) per garantirsi la trattazione della propria pratica in violazione dell’ordine cronologico e con aumenti dell’importo del contributo pubblico a fondo perduto (in un caso a 950.000 euro anziché 595.000 come originariamente stabilito). La concussione prevedeva che il contributo pubblico fosse elargito ai richiedenti solo a condizione che affidassero i lavori di ricostruzione a delle società facenti capo al tecnico istruttore e al padre di questi. Le società, che di fatto sarebbero state gestite dal padre del pubblico ufficiale, erano intestate a prestanomi per evitare il diniego di iscrizione nella white list. Sono in tutto 9 gli indagati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare (uno ancora ricercato), di cui 4 in carcere e 5 agli arresti domiciliari, fra cui architetti e ingegneri, imprenditori e personale di banche.
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