Maurizio de Lucia poco prima di lasciare Messina, dove ha passato cinque anni molto intensi di lavoro tra grande riservatezza e risultati straordinari, l’aveva quasi profetizzato nell’intervista alla “Gazzetta”. Il suo bilancio di una stagione intensa, mentre già dalle pareti dell’ufficio non campeggiavano più i quadri e le decine di crest che si porta sempre appresso, compresa la tazza che gli venne regalata dall’FBI: «Io appartengo - aveva chiosato alla generazione di magistrati che ha iniziato a lavorare nel periodo delle stragi e quel periodo l’ho vissuto da giovane sostituto procuratore a Palermo. Qualcuno ha scritto di recente: “Di una cosa sono certo: chi lavora in uffici dove ci sono stati dei morti, lo fa in maniera diversa. Chi ha lapidi nel proprio cuore vive in maniera diversa…”. Ho sempre cercato di rifarmi all’esempio, irraggiungibile, di quei caduti. Le condizioni di fatto sono certamente cambiate ma i valori che, tra gli altri, Falcone e Borsellino, ci hanno insegnato, sono sempre lì, ad ispirare me e i magistrati di Palermo».
E ieri dopo anni di ricerche spasmodiche e fallimenti clamorosi, tra indagini e talpe istituzionali, c’era lui seduto sulla difficile poltrona di procuratore capo di Palermo, il giorno della cattura del “latitante”. E non si tratta sicuramente di una coincidenza ma anche l’attuale comandante del Ros di Palermo, il colonnello Antonello Parasiliti, prima di trasferirsi ha lavorato con lui proprio a Messina. Un’intesa perfetta.
Sono stati loro due a portare a termine la più importante operazione degli ultimi decenni nella provincia peloritana, quella contro i clan tortoriciani dei Nebrodi, la “mafia dei pascoli” che ha drenato per anni milioni di euro con le truffe in agricoltura, nel silenzio generale.
A settembre, quando sulla sua nomina palermitana arrivò anche il sigillo del plenum del Csm, de Lucia ci dichiarò a caldo: «Sono grato al Consiglio Superiore della Magistratura per una nomina avvenuta all’unanimità, dunque con la piena condivisione da parte di tutte le sue componenti. Conosco bene Palermo e sono consapevole delle gravi problematiche che mi attendono, proprio per questo spero in tempi brevissimi di poter incontrare i miei nuovi colleghi per iniziare a discutere dei tanti temi che dovremo affrontare, primo tra tutti naturalmente il contrasto a Cosa nostra, in tutte le sue varie forme. In questo momento il pensiero non può che andare ai tanti, troppi magistrati palermitani, poliziotti e carabinieri che sono caduti per mano mafiosa, la cui memoria cercheremo di onorare con il nostro lavoro in ogni momento».
E molto probabilmente lo scatto ulteriore all’indagine che de Lucia è riuscito a portare con la sua esperienza, in un’inchiesta lunghissima e travagliata, ma questo lo sapremo solo tra qualche tempo, è stata l’assoluta “blindatura” in una cerchia ristretta delle informazioni da condividere, che ha scongiurato ogni fuga di notizie, come purtroppo in passato era accaduto in più occasioni.
Campano ma con grandi affinità triestine, 61 anni, de Lucia è entrato in magistratura nel 1990. Il primo incarico in Procura a Palermo nel 1991: anni di esperienza con le indagini sui reati economici, poi dal 1995 le prime applicazioni alla Dda, dove entra formalmente nel 1998, tra i magistrati di punta della Procura di Giancarlo Caselli, (come poi in quella di Piero Grasso). Sono gli anni delle grandi indagini sugli appalti inquinati e sul cosiddetto «tavolino» attorno al quale, a spartirsi la torta miliardaria dei lavori pubblici, sedevano mafiosi, imprenditori e politici. Poi arrivano le inchieste sulle estorsioni e un nuovo approccio al fenomeno del racket con la contestazione del favoreggiamento alla mafia ai commercianti che, nonostante le prove schiaccianti, si rifiutano di fare i nomi degli uomini del pizzo. E ancora i blitz contro la mafia militare; le grandi inchieste sulle cosche, azzerate da centinaia di arresti e il capitolo scottante dei delitti eccellenti (Dalla Chiesa, La Torre) e dei legami tra mafia e politica. Nel 2009 de Lucia entra in Dna dove coordina le indagini delle Dda di Palermo e Caltanissetta e viene nominato nella commissione del Viminale sui collaboratori di giustizia. Un ruolo che lo porterà a vigilare sul rischio scarcerazioni dei capimafia al 41 bis. È anche l’epoca dello svelamento del grande bluff: il depistaggio dell’inchiesta sull’attentato di via D’Amelio. Ora ci sono nuove pagine da scrivere.
Caricamento commenti
Commenta la notizia