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Strage di Brandizzo, le lacrime del tecnico Antonio Massa: “Non me l'avevano data l'interruzione della linea”

I magistrati anche alla luce del video realizzato dal messinese Kevin Laganà, la più giovane delle 5 vittime, faranno luce su questo aspetto.

«No. Non me l’avevano ancora data l’interruzione della linea...». Antonio Massa è un uomo distrutto. Il tecnico di Rfi, parlando ai magistrati, scoppia a piangere. Sa che anche la sua di vita, come quelle delle famiglie degli operai morti nella strage di Brandizzo, non sarà mai più la stessa. Ha chiuso i profili social. L’azienda, nel frattempo, gli ha sospeso le abilitazioni e le qualifiche professionali e lo ha messo in contatto con uno psicologo.

Nel frattempo continua a tenere banco quel filmato di una delle vittime prima del tremendo impatto. Un terribile atto d’accusa lanciato da chi non può più parlare. Un gesto di "autogiustizia" compiuto da chi non può più chiedere nulla. Questo è diventato il video di Kevin, il più giovane dei cinque operai morti la sera del 30 agosto nell’incidente ferroviario di Brandizzo. Così, con la parola "autogiustizia", Antonino Laganà, fratello e collega della vittima, ritrova un nuovo senso a quei sei minuti e 48 secondi di filmato che erano stati prodotti con un telefonino semplicemente per intrattenere gli amici sui social. E’ lui stesso ad affermarlo mentre lascia la procura di Ivrea, dove oggi è stato ascoltato come testimone.

Da quanto sta emergendo dallo sviluppo delle indagini, quello di Brandizzo non è stato un caso isolato: in altre occasioni è capitato che lavori sui binari cominciassero nonostante il passaggio di convogli. Un aspetto che i magistrati dovranno approfondire. Così come intendono approfondire i criteri e le modalità di formazione del personale. Un brevissimo frammento del video sembra dimostrare una certa consuetudine. Si sente una voce fuori campo dire 'tanto io lavoro sul parì, con un evidente riferimento a un binario Identificato in quel tratto con il numero 2. La voce pare quella che più tardi avvertirà «ragazzi, se vi dico 'trenò andate da quella parte».

Il vice premier e ministro delle infrastrutture Matteo Salvini definisce la circostanza " al di fuori di ogni regola, di ogni logica, di ogni buon senso». «Non si lavora sui binari - osserva - se ci sono treni in movimento. Ci sono leggi ferree, protocolli. La morte di queste cinque persone non può restare impunita». A parte quella di Kevin, una delle voci riconoscibili nel filmato è proprio di Antonio Massa, l’addetto di Rfi presente sul posto in qualità di 'scorta-cantiere'. Massa è uno dei due indagati. Ad assumerne la difesa come avvocato di fiducia è Mattia Moscardini, di Roma, che è già stato impegnato in numerose vicende di disastro colposo e di incidenti aggravati da violazioni delle norme antinfortunistiche (ha anche fatto parte dello staff difensivo nel processo per la strage di Viareggio). Il secondo indagato é Andrea Girardin Gibin, capocantiere della Sigifer, la ditta del Vercellese per la quale lavoravano le cinque vittime. «È mia abitudine fare i processi nei tribunali - dichiara il suo legale, l’avvocato Massimo Mussato - e non ho commenti da fare». Anche Gibin era sul posto: ma non è sua la voce che esorta i ragazzi ad 'andare vià nell’eventualità del passaggio di un convoglio. «Posso solo aggiungere - afferma Mussato - che il mio assistito è molto provato e profondamente addolorato per la perdita di cinque colleghi che erano anche suoi amici».

L’operatore della Sigifer si è salvato tuffandosi di lato. Ieri è spuntato un video che documenta l’attimo della tragedia. È stato ricavato da una telecamera di sorveglianza (piuttosto lontana) sistemata in un condominio privato: il fischio, il treno che sfreccia a 160 km orari, lo stridore della frenata improvvisa che si protrae per una trentina di secondi. "Non voglio più tornare sulla questione - afferma Enrico Calabrese, l’avvocato della famiglia Laganà - perché da ora penseremo ai funerali».

Il nulla osta della procura arriverà solo quando ai corpi straziati sarà dato un nome. Per questo gli inquirenti stanno facendo raccogliere ogni elemento utile per il riconoscimento: tatuaggi, arcate dentarie, tracce organiche rimaste su pettini e spazzolini.

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