Giovedì 09 Gennaio 2025

Lo spot dell'Esselunga tra messaggi “secondari” e immagini stereotipate

«Il mondo visto con gli occhi di un bambino ha tutto un altro sapore». Una frase detta e ridetta, forse banale, che lo spot pubblicitario può trasformare in motto, persino in sentenza, se gli occhi del bambino guardano due genitori non più coppia, impegnati nel mitigare al piccolo lo strappo del distacco. Emma e Leon, rispettivi protagonisti degli spot Esselunga e Ikea, dicono tanto col loro sguardo un po’ perso, svelando i sentimenti di un bambino diviso tra due genitori, due quartieri, due case, e toccato dalla sofferenza di aver perso il suo piccolo mondo senza barriere. Immagini che arrivano al cuore, progettati per sollecitare la parte più primitiva del nostro cervello e indurre all’acquisto. Ma se proviamo a uscire dalla suggestione del video predisposto da un e-commerce, scorgiamo in entrambi gli spot sottili messaggi subliminali che rimandano un’immagine stereotipata, estremamente semplificata e sotto alcuni aspetti errata della vita stessa. La piccola Emma di Esselunga offre al papà la pesca che potremmo ribattezzare “della concordia” e gli dice «te la manda la mamma», animata dal desiderio che i genitori possano riunirsi. Il suo contraltare Ikea, Leon, silenzioso durante il tragitto che lo porta a casa di papà per il week end, trova una cameretta esattamente identica nell’arredo a quella appena lasciata, e depone i suoi pennarelli “transizionali”, nello stesso solco della nuova scrivania. Il messaggio portante, chiaro e concordante in entrambi i casi, sembra emettere una sentenza di condanna sulla separazione di coppia, indicando azioni strategiche per mitigare la sofferenza dei figli. I due spot contengono altresì messaggi “secondari”, sullo sfondo rispetto all’intendimento pubblicitario più rilevante, che pretendono di mostrare significati e dinamiche familiari piuttosto lontani dalla vita reale. Si esalta, ad esempio, la figura del papà rispetto a quella della mamma: uno è il romanticone che guarda nostalgico verso la finestra della moglie; l’altro, sensibile ed empatico, concepisce l’idea geniale o “spettrale” – dipende dalla prospettiva da cui si guarda - di predisporre uno stesso identico ambiente prossimale al figlio. Ma la vita, quella vera, è così? È solo compito della donna preservare l’unità della coppia? Ed è sempre e comunque un errore separarsi? Se si devono vendere alimenti o mobili, si può anche cedere alla banalità dell’estrema semplificazione, ma non si dovrebbe sconfinare in messaggi che condannano o assolvono situazioni e scelte spesso necessarie e dolorose. Perché la sofferenza, quella vera, che si legge negli occhi di un figlio che assiste ai continui litigi tra i genitori è ben più forte e destrutturante rispetto alla temporanea perdita di riferimenti spaziali, sottoposti comunque a un graduale processo di accomodamento. Il trauma della violenza, quella chiamata “assistita” - con particolare riferimento ai figli che assistono a continui soprusi, fino all’uccisione di un genitore - non si accomoda invece col tempo, e rimane un marchio nel suo sguardo profondo, quello interno, negandogli per sempre il diritto alla vita che merita. Maria Gabriella Scuderi - psicologa e psicoterapeuta

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