Vittima delle molestie dell’allora procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, secondo una sentenza di due anni fa della Sezione disciplinare del Csm, la pm di Palermo Alessia Sinatra è stata ora condannata dallo stesso tribunale delle toghe per inerzie e gravi e ingiustificati ritardi nella trattazione di inchieste su violenze e abusi, in alcuni casi ai danni di minorenni. Comportamenti determinati da «negligenza inescusabile» e che hanno avuto come effetto, almeno in alcune occasioni, la prescrizione dei reati, cioè l’impossibilità di perseguire i presunti responsabili nonostante le denunce delle vittime.
Sospensione per sei mesi dalle funzioni e dallo stipendio, e trasferimento d’ufficio è la sentenza emessa dai giudici disciplinari, che sono stati molto più severi della richiesta dell’accusa: la perdita di anzianità di tre mesi. Per il difensore della magistrata il tribunale delle toghe ha usato la mano pesante. «Non si ricorda a memoria d’uomo una sentenza così pesante per incolpazioni di questo tipo, che supera di gran lunga ancora una volta la richiesta della procura generale della Cassazione», sostiene il professore Mario Serio, alludendo alla precedente condanna disciplinare della pm, per alcuni messaggini scambiati con Luca Palamara proprio sul conto di Creazzo, che aveva suscitato tante polemiche soprattutto da parte di chi vi aveva visto un pessimo segnale per le donne vittime di violenza.
Cinque le inchieste che hanno portato ora alla condanna della pm, quattro inerenti ad abusi sessuali, vittime in 3 vicende minorenni, e l’ultima relativa a atti persecutori. Un caso riguarda tre fratellini violentati nell’ambiente familiare e che sin dai primi interrogatori avevano indicato i presunti responsabili. Sinatra però avrebbe iscritto la notizia di reato 7 anni dopo nel registro ignoti e «dopo più di 16 anni di totale inerzia investigativa e oltre ogni ragionevole termine di durata delle indagini preliminari», come si legge nell’atto di accusa, aveva chiesto l’archiviazione, perché intanto era intervenuta la prescrizione del reato. Ritardi e negligenze per il Csm si sono stati anche nei procedimenti su una 14enne, che aveva subito violenze da parte di suo zio, e di un ragazzo, affidato sin dall’età di 13 anni dai genitori alle cure di un sacerdote, che invece secondo la loro denuncia lo aveva abusato e maltrattato.
La sentenza non è definitiva, ma può essere impugnata davanti alle Sezioni Unite della Cassazione. Ed è prevedibile che sarà presentato ricorso come avvenuto per la precedente condanna. (ansa)
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