«Stiamo proseguendo l’analisi, insieme con il consulente capo progetto, il gruppo Parsons Trasporti, e il Comitato scientifico, della relazione dei progettisti. È in fase di completamento l’aggiornamento degli elaborati ambientali, assieme all’analisi costi-benefici che dalle verifiche preliminari evidenzia risultati positivi. Sono, inoltre, ben avviati gli aggiornamenti per lo studio di traffico, il Piano economico-finanziario comprendente anche i costi di gestione, la relazione di sostenibilità. Il quadro sismo-tettonico dell’area dello Stretto è stato rivisto al 2023». Queste le dichiarazioni rilasciate qualche giorno fa dall’amministratore delegato della società Stretto di Messina, Pietro Ciucci, in occasione dell’incontro avuto dal vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini con il commissario del Corridoio europeo Scandinavia-Mediterraneo, l’irlandese Pat Cox. Uno degli step più attesi dei prossimi giorni, nella vicenda che riguarda il Ponte sullo Stretto, è proprio quello riguardante l’analisi dei costi-benefici. Di fatto, si sta aggiornando lo studio che era stato realizzato nel novembre del 2012 a cura di Lanfranco Senn, Roberto Zucchetti, Tatiana Cini e Oliviero Baccelli, docenti ed esperti del Centro “Certett” dell’Università Bocconi di Milano. È utile ricordare quale è il punto da cui si è ripartiti. Undici anni fa l’investimento totale era calcolato in 8 miliardi 28 milioni di euro, dei quali erano stati impegnati e spesi (al 2012) poco più di 147mila euro, così da far scendere l’importo complessivo a quota 7 miliardi 880 milioni di euro. Cosa comprendeva tale cifra? «Si tratta dell’importo per la realizzazione del collegamento stabile e di tutte le opere necessarie al suo funzionamento, ad eccezione delle opere di miglioramento del sistema dei trasporti e delle opere di mitigazione e di compensazione», scrivevano i tecnici. La sintesi era la seguente: 6,3 miliardi per il Ponte e le opere connesse; 700 milioni di euro per i collegamenti; 600 milioni per le mitigazioni ambientali; 300 milioni per le compensazioni locali. Tutti numeri che ovviamente sono in corso di aggiornamento, essendo passato un decennio e oltre. Nella fase di costruzione, il “Cerret” calcolava che si sarebbero impegnati 877 milioni di euro per la manodopera locale, con una media di tremila posti di lavoro locale diretti (per gli otto anni di costruzione), e un moltiplicatore indiretto pari a due addetti indotti per ogni diretto. Veniva anche calcolato il valore residuo al 2049: «La concessione prevede espressamente l’onere di costruzione di un manufatto che deve essere dimensionato per una durata utile di 200 anni; poiché l’analisi nella sua versione attuale abbraccia un arco temporale di trent’anni di gestione, pari al 15% della vita utile che il progetto deve garantire, la valutazione del valore economico residuo assume una grande rilevanza. Utilizzando un criterio di aggiornamento costante per il periodo minimo di vita, pari a 200 anni, il valore al 2012 del residuo alla fine del periodo di 30 anni è di 1,2 miliardi». Si calcolava che il Ponte fosse inaugurato nel 2020 e, dunque, i primi 30 anni di gestione arrivavano fino al 31 dicembre 2049. Anche in questo caso si stanno aggiornando tutte le scadenze temporali e se davvero il Ponte, come vorrebbe Salvini, venisse inaugurato nel 2032, i 30 anni scadrebbero nel 2062. Un aspetto va evidenziato: «Molte infrastrutture di trasporto – precisavano gli economisti della “Bocconi” – hanno in realtà dimostrato che la crescita del traffico nel lungo periodo può essere di gran lunga maggiore di quella prevista in fase di costruzione (valga per tutti l’esempio dell’Autostrada del Sole)». E ancora gli esperti sottolineavano: «Se l’apertura del Ponte di Messina avrà limitati effetti sulle percorrenze del traffico conservato di lunga distanza (12 milioni di risparmio su 16 miliardi di chilometri), non così sarà sui tempi di viaggio: l’eliminazione dell’attraversamento dello Stretto con i traghetti sarà, infatti, in grado di ridurre notevolmente i tempi di viaggio». Veniva calcolato un risparmio di 7,8 milioni di ore l’anno per chi viaggia in auto e in treno. Più treno, meno navi, significa anche, secondo quelle stime di 11 anni fa, «339mila ore risparmiate ogni anno dai viaggiatori locali». Lo stesso discorso valeva per le merci: «Con più treni e meno navi, 20 milioni di ore risparmiate per le merci a lunga distanza, 900mila ore per le merci locali». Nello studio era contenuto anche il capitolo riguardante l’incidenza del tasso di sconto sulla valorizzazione dei benefici delle generazioni future, un risultato che dava un più 8,5 miliardi di euro (cifre del 2012). E poi c’era la parte dedicata ai benefici e ai costi non quantificati: lo sviluppo dell’economia locale e di know-how, gli effetti positivi sul turismo, il cosiddetto “effetto reputazione”. «Il Ponte – concludevano gli esperti –, oltre alla rilevanza internazionale, è un vantaggio per le popolazioni locali».