Lunedì 14 Ottobre 2024

Richard Gere sul caso Open Arms: "La legge rendeva reato aiutare in mare. Ammiro l'Italia per il lavoro che ha svolto"

«Richard Gere era così colpito dalla sofferenza degli immigrati su Open Arms che ha disertato il processo di Salvini a Palermo, ma ora trova il tempo per precipitarsi nel salottino rosso di Marco Damilano. Siamo davanti a un brutto film». Così i parlamentari della Lega in Vigilanza Rai, Giorgio Maria Bergesio, Ingrid Bisa, Stefano Candiani, Elena Maccanti, Clotilde Minasi ed Elena Murelli. «Io testimone al processo Salvini su Open Arms? No, Ho preferito un intervento a distanza. Ho offerto una testimonianza scritta ma non è stata accetta. Non è facile arrivare a Palermo. E sono lieto di questo invito (in trasmissione ndr) perché è importate esprimersi su quanto stava accadendo su quella nave» ha ribattuto Richard Gere ospite del programma «Il cavallo e la torre» di Marco Damilano su Rai3, sul processo a carico dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Gere salì sulla nave Open arms per portare aiuti. «Mi trovavo in Italia, sono già trascorsi 4 anni, presso amici, e qualcosa ha attirato la mia attenzione, una legge che rendeva un reato aiutare le persone in mare: per me era incredibile, soprattutto in Italia, un Paese meraviglioso con una popolazione generosa". Gere ha ripercorso  l’esperienza vissuta a bordo della Open Arms dove salì il 9 agosto 2019 per portare aiuti e viveri. «Avevo già incontrato Open Arms- ha spiegato Gere - a Barcellona anni prima, ed ero rimasto molto impressionato dal loro lavoro, prima avevano salvato le persone in Grecia, e poi al largo della Libia. Avevo sentito che era stata approvata questa legge così crudele - ha detto ancora l’attore - avevo sentito che questa nave non poteva entrare nel porto di Lampedusa. Io ero già stato lì, avevo visitato l’hotspot, avevo già incontrato dei migranti salvati nel Mediterraneo, ed ero rimasto commosso dalle storie di quelle persone, provenienti da molti Paesi del mondo. Ero rimasto anche commosso dall’intervento degli italiani - ha sottolineato Gere - a Lampedusa ma anche dal governo italiano e dalle autorità competenti rispetto alle migrazioni. Allora nel caso della Open Arms mi sono chiesto se veramente le autorità in quel caso vedessero quelle perosne come fratelli e sorelle, e ho deciso repentinamente di andare via dai miei amici e di andare a Lampedusa, abbiamo portato acqua e derrate alimentari, beni di prima necessità per le persone che provenivano dai Paesi Africani». «L'Italia ha dovuto sostenere un peso notevole ed io vi ammiro molto per il lavoro che avete svolto per aiutare le persone che erano alla deriva. Questa è una responsabilità che spetta a tutto il mondo. Mi riferisco a un fenomeno mondiale, non a una problematica italiana: l’Unione europea, l’Onu, devono essere coinvolte, dobbiamo creare le risorse e le strutture per affrontare le migrazioni, soprattutto gli italiani» ha continuato Gere «Ci saranno sempre i rifugiati, persone che fuggono dalla follia e dalla tortura. Noi dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Soprattutto in paesi più agiati. Penso che gli italiani abbiano svolto un lavoro egregio nell’accoglienza. Ovviamente voi siete molto vicini alla Libia e i rifugiati tendono ad arrivare da voi, a Malta o in Spagna», ha aggiunto. Chi veniva dalla Libia «aveva la speranza di trovare salvezza. Stiamo parlando di salvezza non di migranti economici. Queste persone rischiano la vita. Sono sottoposte a torture fisiche e mentali, soprattutto le donne che vengono trasformate in schiave del sesso. Arrivato a bordo di Open Arms mi sono reso conto di quanto la situazione fosse seria. La gente stava con delle tende sul ponte della nave. Io ho visto circa 124 persone a bordo, all’addiaccio praticamente. Ho incontrato volontari provenienti da tutto il mondo che distribuivano farmaci, cibo, acqua - ha raccontato l’attore - . C'erano anche medici ed esperti che davano assistenza psicologica a persone che erano traumatizzate non solo dal naufragio ma anche dalle settimane e dai mesi necessari per arrivare alle sponde del Mediterraneo. Avevano vissuto l’inferno in Libia, finalmente erano saliti su una carretta del mare e poi sono stati salvati da Open Arms».

leggi l'articolo completo