Agatha Mary Clarissa Christie - o più semplicemente Agatha Christie - sosteneva che “Tre indizi compongono una prova”. E per chi si è nutrito dei suoi gialli questa massima ha un senso profondo, che va ben al di là della penna fantascientifica con cui la scrittrice britannica ha creato personaggi, storie e finali tanto misteriosi quanto inaspettati. Vale anche nella vita reale, perché qui uomini e donne in carne e ossa si sostituiscono ai personaggi costruiti dalle menti geniali (come quella di Agatha Mary Clarissa da Torquay, contea inglese). Ecco, quando un situazione tende a ripetersi, inizia a emergenza una tendenza. Un trend.
Prendiamo la scuola. Al di là della retorica sui “tempi che cambiano” e sulle metodologie da adottare per plasmare i cittadini e le cittadine del domani, quello che sta sfuggendo - alla luce degli ultimi, inquietanti accadimenti - è il centro della questione: perché è importante istruirsi? Sempre più spesso la risposta è talmente scontata da risultare banale: per accaparrarsi un posto di lavoro. Magari a tempo pieno. Magari magari da dipendenti statali. A questo punto è necessario scomodare uno dei più grandi studiosi del Sud di sempre, compianto storico, saggista e docente scomparso lo scorso anno: Nuccio Ordine. In uno dei suoi discorsi, il letterato nato a Diamante sosteneva che quando si studia per passione e non per lo stipendio si può anche rinunciare a qualsiasi somma di denaro. Che ciò che deve spingere i giovani a cimentarsi in uno “studio matto e disperatissimo” non deve essere la prospettiva del guadagno, del tornaconto economico, ma la curiositas, ovvero il desiderio di conoscere, sapere qualcosa. Di imparare. E il luogo per eccellenza non è certo cambiato: è sempre la scuola. Un'istituzione imperfetta - per carità - spesso vessata da Governi “sforbicioni” o scelte ardite, ma pur sempre un'agenzia educativa in costante evoluzione nella direzione dell'inclusione. Non così tanto di pari passo si sta evolvendo l'altra agenzia educativa, ovvero la famiglia. O meglio, più che di evoluzione, sarebbe più corretto parlare di regressione. Non tanto in termini di scelte di vita, di genere, politiche (pur sempre personali) quanto in termine di attenzione alla crescita dei figli. Quegli stessi che dovrebbero essere nutriti dalla curiositas, ma che crescono e ingrassano solo nell'ego.
I tre indizi che compongono la prova
Emblematici i tre casi che, negli ultimi mesi, a cavallo tra la fine del 2023 e l'inizio del 2024, hanno riguardato il capoluogo cosentino (uno dei tre, in realtà, si è consumato a Rende, pur sempre a un tiro di schioppo dalla città dei bruzi). Sfortunata (eufemismo) protagonista, sempre e comunque, una delle due agenzie educative di cui sopra. Ma non la scuola - seppur teatro delle vicissitudini - bensì l'altra: la famiglia. A fine novembre, un bambino di 8 anni ritenuto “iperattivo” era stato isolato dal resto della classe con una scelta che ebbe del clamoroso (oltre che del vergognoso): nessuna compagna di classe e nessun compagno e si è presentato in aula. Un ammutinamento didattico vero e proprio. Impensabile che un “piano” del genere possa essere stato ordito da bambini di terza elementare, più facile che la scelta di tenere i piccoli a casa sia stata calata dall'alto. Dalle famiglie, appunto. Andando più a ritroso, qualche settimana prima del famigerato ammutinamento, a prendersi la scena era stata l'aggressione di un insegnante dell'Istituto Comprensivo di Via Roma-Spirito Santo, Nicola Cupelli. Ferite guaribili in una settimana. Che la scuola possa trasformasi in un ring da regolamento di conti - e veniamo al terzo e freschissimo caso di cronaca - lo abbiamo appurato attraverso la triste vicenda che ha coinvolto il dirigente scolastico del Liceo scientifico “Scorza”, Aldo Trecroci, preso a schiaffi per aver negato l'inserimento di una studentessa all'interno di un Pcto (la “vecchia” Alternanza scuola-lavoro) che era già saturo; a patto che esista una motivazione per “sguainare la spada”, soprattutto in un contesto scolastico. Già, il terzo indizio che fa la prova. E che certifica un fatto: la scuola dell'inclusione - perché in questo mare si naviga oggi - è fortemente indigesta. Non dagli studenti e dalle studentesse, ma da chi, invece di attivare sistematicamente la funzione dello spazzaneve o del paracadute, dovrebbe insegnare loro come metabolizzare i piccoli fallimenti quotidiani, da chi dovrebbe consolidare - e non minare - la consistenza dell'autorevolezza dei docenti, da chi dovrebbe spiegar loro che “Figlio mio, figlia mia” a muovere il mondo non saranno mai solo e soltanto i dollaroni, ma l'amore per il proprio ruolo: sia esso quello di insegnante, genitore o studente. Perché chi sta dall'altra parte, in fondo, vuole solamente alimentare il loro desiderio di apprendere.
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