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La chimica in Sicilia e la sfida della transizione ecologica. Nasce un nuovo modello?

La chimica e l’industria siciliana arrivano con il fiatone alla sfida della transizione ecologica e digitale ma anche con qualche modello in grado di assicurare squarci di futuro. Dentro la sfida della transizione ecologica c’è anche quella della competitività del sistema industriale europeo che non può accettare delocalizzazioni e dipendenza da altri Paesi lasciando nei territori desertificazione produttiva e qualche ammortizzatore sociale. Questo è ancor più vero per la Sicilia che basa una parte consistente della sua presenza industriale nella petrolchimica con i poli di Gela, Siracusa, Milazzo e Ragusa che hanno accompagnato, dagli anni Sessanta del secolo scorso, la transizione da un’economia agricola a una industriale.

Oggi è come rivivere un po’ quegli anni con una nuova transizione, dettata da Bruxelles e dagli impegni imposti dall’ambiente e dai cambiamenti climatici, che chiede di essere soprattutto governata. Di questo si è discusso a Ragusa nel corso di un convegno sul tema “Estrazione e Chimica di Base: tendenze e scenari in evoluzione” promosso dalla Cgil e dalla Filctem di Ragusa. Rispetto a quella prima transizione che radicò la produzione industriale in Sicilia, oggi si avverte la debolezza della politica che non è più in grado di essere interlocutrice delle grandi multinazionali che governano l’economia. L’Eni è un player mondiale che guarda anche alle performance dei singoli asset e alla remuneratività degli azionisti. Nel polo industriale di Siracusa sono presenti sette diverse multinazionali, ognuna delle quali segue direttive che arrivano da centri decisionali lontani dagli stabilimenti di produzione.

L’Eni non nasconde di voler rivedere, come ha annunciato il segretario generale della Filctem Filippo Scollo, gli assetti complessivi di Versalis a causa di performance economiche negative con contraccolpi inevitabili su Ragusa, Priolo e, più in generale sulla Sicilia. Il rischio è che la Sicilia e il nostro Paese rinuncino alle materie prime provenienti dalle lavorazioni degli impianti chimici per dipendere dall’estero. «Il quadro complessivo europeo e italiano – ha detto Antonio Pepe, segretario nazionale della Filctem – non è ottimistico: l’Europa ha venduto la tecnologia ai paesi emergenti. La politica automobilistica in Italia non esiste più, si è persa l’informatica, la telefonia». Lo stesso può dirsi per altri pilastri della nostra economia come ad esempio per l’acciaio con la vertenza che riguarda la Duferco di Giammoro. Non ci sono da difendere solo i posti di lavoro ma la prospettiva di un Paese ancora in grado di produrre e di essere competitivo.

Per questo occorrono prospettive da calare dentro la transizione ecologica. Prospettive che diano vita a una nuova industrializzazione, più attenta alle esigenze dell’ambiente, ma ugualmente ricca di sviluppo e progresso. La Sicilia ha da offrire un modello che sta già dimostrando di funzionare, con la riconversione degli impianti Eni di Gela che oggi producono biocarburanti; un modello di lavoro che vede industriali, sindacati e politica studiare visioni comuni di futuro; un sottosuolo ancora ricco di materie prime e di fonti energetiche, ancorché classificabili come tradizionali. Anche in quest’ultimo caso ci sono modelli che la Sicilia può offrire anche alle multinazionali che decidono di investire nell’Isola. Dai pozzi di Ragusa, ad esempio Enimed estrae 30.000 metri cubi di gas al giorno e Enel acquista 24 megawatt al giorno di energia elettrica, prodotta da un cogeneratore alimentato dal gas estratto. E se risorse umane, ricerca e sostenibilità ambientale sono i tre pilastri individuati da Federchimica e fatti propri anche da Sicindustria, anche la politica è in grado di inserire la transizione ecologica all’interno di un processo di crescita per il territorio. L’assessore allo Sviluppo economico del Comune di Ragusa ha dato piena disponibilità a unire le forze per non subire i cambiamenti ma essere pienamente dentro ai processi della storia e dell’economia e offerto una prima indicazione concreta. Produrre e poi riciclare negli impianti iblei e siciliani la bioplastica che serve alla copertura delle serre.

Si creerebbe un ciclo produttivo chiuso che aiuterebbe non solo l’industria ma anche l’agricoltura, nel pieno rispetto della transizione ecologica e della sostenibilità ambientale. «Nel 2040 – ha concluso Pepe – i processi di raffinazione del petrolio non esisteranno più e la Sicilia sarà chiamata ad una sfida di non poco conto a cominciare dalle bonifiche del territorio. Questa è una delle ragioni per le quali bisogna mettere in campo una strategia che riunisca con un unico intento, quello del progresso, la politica, la Confindustria e il sindacato, in un rinnovato modello di relazioni industriali. Se così non si farà, ne subiremo tutti le conseguenze».

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