I cento anni trascorsi dall’ultimo discorso in cui Giacomo Matteotti denunciò in Aula le violenze del fascismo vengono celebrati con una grande cerimonia alla Camera, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. E danno alla premier Giorgia Meloni l’occasione per pronunciare parole più nette sul ventennio: «Oggi siamo qui a commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee». Subito dopo però la presidente del Consiglio e leader di FdI crea un parallelo con l’attualità politica e - come spesso accade - gioca in attacco: «Onorare il ricordo» del deputato socialista, afferma, «ci ricorda il valore della libertà di parola e di pensiero contro chi vorrebbe arrogarsi il diritto di stabilire cosa è consentito dire e pensare e cosa no». Una lezione, che «oggi più che mai, ci ricorda che la nostra democrazia è tale se si fonda sul rispetto dell’altro, sul confronto, sulla libertà, non sulla violenza». Lo scorso 25 aprile, Meloni aveva ricordato che «la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia». Ora, il passaggio sullo squadrismo, ammettono a microfoni spenti anche alcuni esponenti dell’opposizioni sempre critici nei suoi confronti, segna uno step ulteriore. Ma a chi si riferisce la premier quando punta il dito contro chi «vorrebbe arrogarsi il diritto di stabilire cosa è consentito dire e pensare e cosa no"? Secondo una fonte di FdI molto vicina alla premier nel mirino non c'è qualcuno in particolare ma «una prassi, una certa cultura» che tende «a dare patenti di legittimità» perché «se sei di destra oggi è più facile che tu sia censurato, che non censore». Oltre le sfumature polemiche, ci sono i fatti. E c'è la grande cerimonia organizzata dalla Camera con le più alte cariche dello Stato: dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, da Meloni al vicepresidente della Corte Costituzionale, Giovanni Amoroso. Insieme a 300 studenti ci sono diversi volti noti della politica, come Gianfranco Fini, Mario Monti, Luciano Violante, Elly Schlein. «La Camera onora Giacomo Matteotti, uno dei padri della democrazia, vittima dello squadrismo fascista», le parole di Fontana poco prima di annunciare che lo scranno del deputato socialista non verrà più occupato, ma resterà simbolo del suo coraggio e del suo sacrificio. Con una targa a ricordarlo. Bruno Vespa, nei panni di moderatore, tratteggia «l'uomo Matteotti», poi interviene il professor Emilio Gentile che fa ruotare il suo discorso attorno ad un interrogativo: «Fu il delitto Matteotti, con le sue conseguenze, a spingere il fascismo sulla via del totalitarismo o il delitto fu una conseguenza dello stato asservito al partito fascista?». Il minimo comune denominatore di tutte le dittature, interviene l'ex presidente della Camera Luciano Violante, «è che non tollerano i Parlamenti». L’organo legislativo - incalza - è chiamato «a decidere», «questo Parlamento è quello che Matteotti pensava dovesse essere? Vedete, fuori dai casi dell’avvento di dittature, i Parlamenti muoiono per suicidio, non per omicidio». La cerimonia nell’emiciclo si conclude con la lettura da parte dell’attore Alessandro Preziosi di uno stralcio dell’ultimo discorso del parlamentare socialista, accolto da una standing ovation dell’Aula. Tra i presenti anche una delle nipoti di Matteotti che ora attende «un altro segnale dal governo», magari nel giorno del ricordo del suo assassinio. Spenti i fari, c'è tempo per riflettere, analizzare le presenze e le reazioni, con più di un parlamentare di centrosinistra che riporta le assenze nel centrodestra, e in particolare della Lega, all’evento. Lo dice apertamente Marco Grimaldi (Avs) che definisce «un peccato che tanti colleghi dei partiti di maggioranza non fossero presenti. Mi spiace ma non mi stupisce che Ignazio "Benito" La Russa, presente in quanto presidente del Senato, abbia avuto difficoltà ad applaudire con convinzione». Dalla Lega rimarcano che l’assenza di alcuni esponenti del partito all’evento «non è stata assolutamente dovuta alla volontà di disertare la cerimonia, ma solo alla concomitanza di impegni elettorali».