Un volume d’affari da quasi 5,5 miliardi di euro, che piazza la regione sul podio per incidenza di irregolarità sugli occupati e sul Prodotto interno lordo. Sono i dati impietosi del lavoro nero in Sicilia, fotografati dalla Cgia di Mestre nel suo nuovo report in materia, che in tutta Italia, sul piatto dell’economia sommersa riconducibile al lavoro irregolare, rileva un giro da 68 miliardi di euro, il 35% ascrivibile ai territori del Mezzogiorno. Tra questi, spicca in negativo l’Isola, con un esercito di 242.500 occupati “fantasma”, una platea di persone che, più esattamente, erode al fisco cinque miliardi e 436 milioni di euro, pesando sul valore aggiunto regionale per il 6,6% contro il 4,2% di media nazionale: peggio della Sicilia solo la Calabria, con l’8,3%, e la Campania con il 6,6%. Ma l’Isola risulta terza anche per tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero degli irregolari e il totale degli occupati: la presenza più significativa si registra sempre nel Sud e, in particolare, in Calabria con il 19,6%, in Campania con il 16,5% e, per l’appunto, sul suolo siculo per il 16%, mentre la media tricolore si aggira intorno all’11%. I segmenti dove è più sviluppato il sommerso restano gli stessi, dentro e fuori dai confini siciliani.
Si parte dai servizi alla persona, dove, tra colf e badanti non contrattualizzate, il tasso di lavoro nero schizza al 45%, poi c’è l’agricoltura che, secondo l’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia, incide per 16,8%, quindi i settori delle costruzioni (13,3%) e del commercio, dei trasporti e delle strutture ricettive (12,7%).
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