
La spiaggia di Acquedolci, nel Messinese, avanzava di circa 60 cm all’anno, al punto che nel 2010 la sua è profondità era maggiore di quella del 1975. Nel 2015 il Comune decise la costruzione di un lungomare, del costo di circa 850.000 euro, a ridosso della battigia occupando larghi tratti di arenile demaniale. Nel 2016 è stasto posato un «pennello» in massi di cava, immediatamente sopraflutto al tratto iniziale del lungomare, opera questa finanziata con fondi regionali per l’importo di 1.000.000 di euro. «Non bisogna essere degli specialisti - spiega Legambiente nel suo dossier sull'erosione costiera in Sicilia - per capire che la collocazione del pennello in quel punto, sopraflutto alla strada lungomare, avrebbe bloccato il trasporto di sedimenti determinando un accumulo a ovest ma innescando l’erosione a est dov'era stata costruita la strada». Come è stato possibile costruire una strada sull'arenile aggirando una legge regionale (la n.78 del 1976) che la vieta? «Bastò non definirla "Strada" e motivare l’intervento come una emergenza sanitaria e di ordine pubblico, affermando che in quel luogo si incontravano coppie di fidanzati e persone di malaffare». La strada era destinata a subire gli effetti delle mareggiate, e dunque servì un finanziamento di 5 mln di euro per rifarla. E così via, anno dopo anno, finchè la spiaggia è scomparsa.
Quello di Acquedolci è uno degli esempi con cui nel dossier Legambiente indica la causa più diffusa dell’erosione delle spiagge in Sicilia: «Le opere marittime che più sistematicamente hanno concorso alla alterazione del regime delle nostre spiagge e al loro degrado - spiega l’associazione - sono proprio quelle nate da intenti e richieste di «difesa» della costa, rispetto all’avanzante fenomeno erosivo. Ci riferiamo alle famigerate scogliere artificiali (radenti, a pettine, parallele, soffolte o comunque realizzate). Essi riproducendo l’effetto-trappola dei sedimenti trasportati lungo costa, hanno moltiplicato i punti sottoposti ad erosione, aggravando ulteriormente il dissesto delle nostre spiagge». Il 76,5% della costa siciliana è a rischio erosione, secondo i dati del Piano di Assetto Idrogeologico Siciliano del 2021. In particolare, il 43.6% è a rischio elevato (per il quale sono possibili danni edilizi) e il 32.9% è a rischio molto elevato (per il quale sono possibili gravi danni edilizi e umani). Le cause del rischio di erosione sono diverse, ma quelle che hanno inciso di più negli ultimi 30 anni sono state gli interventi di artificializzazione e cementificazione, sia legale che illegali realizzati lungo le nostre coste: dal 2006 al 2021 l’avanzata del cemento nei comuni costieri è aumentata del 6%, e il consumo di suolo costiero sul totale regionale è pari al 56,4%, il più elevato in Italia. Ad aggravare ulteriormente la situazione concorrono sempre di più la crisi climatica e i suoi effetti. La Sicilia è la regione italiana più colpita da fenomeni meteorologici e idrogeologici, tra cui piogge intense e mareggiate che aggravano l’erosione principalmente durante l’inverno.
Nel periodo 2010-2023 sono stati 154. Preoccupa inoltre il progressivo innalzamento del livello del Mediterraneo che, secondo i dati dell’Ipcc nel loro ultimo rapporto sui cambiamenti climatici, nell’ultimo secolo si è innalzato in media di 1,4 mm l’anno. «In questi ultimi decenni - afferma Legambiente nel suo dossier sull'erosione delle coste - si sono fatte scelte sbagliate, a partire dalla manomissione dei corsi d’acqua, da cui alla fine degli anni 70 sono stati sottratte consistenti quantità di sabbia e ghiaia utilizzate per alimentare la speculazione edilizia legale e illegale lungo la fascia costiera. Le scelte sbagliate sono continuate fino agli anni 90, con la realizzazione di opere di sbarramento (briglie, soglie e traverse), motivate più dall’interesse ad attivare appalti pubblici che da reali esigenze idrogeologiche. Ad alterare la linea di costa ha contribuito la realizzazione di porti turistici (marine a gestione privata), le cui dighe foranee hanno inibito il flusso dei sedimenti, innescando erosione sottoflutto in corrispondenza di zone abitate».
«Come raccontiamo nel Dossier- dice Salvatore Gurgone, responsabile Erosione Costiera di Legambiente Sicilia - l’attuale stato dell’erosione delle coste siciliane non è altro che il risultato di una gestione del territorio e della spesa pubblica non orientata all’interesse generale. Ciò ha prodotto quegli interventi antropici, legati alla cementificazione illegale e anche legale, che hanno innescato il degrado dell’ambiente costiero e l’erosione delle spiagge. Questo quadro è destinato ad aggravarsi con l’aumento della frequenza di eventi meteo-marini estremi provocati dal mutamento climatico già in atto» «Le spiagge siciliane vanno tutelate - dichiara Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia - affinchè costituiscano quella straordinaria risorsa ambientale, capace di trainare un settore turistico basato sulla effettiva valorizzazione dell’identità culturale dei luoghi. La loro tutela dipende anche, e soprattutto, dalla qualità delle politiche urbanistiche e dalle strategie di governo del territorio in area vasta. L’occupazione delle pianure costiere, l’urbanizzazione spinta ai limiti della battigia creano i presupposti per fenomeni di erosione degli arenili e di inquinamento delle acque del mare». Le proposte di Legambiente Sicilia per contrastare l’erosione costiera vanno dal divieto a qualsiasi nuova opera nelle fasce dove i modelli indicano una probabilità di esposizione a inondazione alla «rinuncia alla difesa a tutti i costi di talune strutture ricadenti nelle aree a rischio, consentendo l’espansione delle onde».
Bisogna «selezionare attentamente quelle da difendere, valutando l’impatto delle relative opere sulle spiagge contigue». Vanno limitate le concessioni balneari in termini di superficie ed evitato che, surrettiziamente, si eseguano opere o installazioni sulle spiagge, privatizzandole di fatto al prezzo di pochi spiccioli come avviene attualmente. Serve, infine, «spezzare il circolo vizioso erosione-difesa costiera-progetti-appalti-sprechi- nuova erosione, che dà luogo a una vera e propria industria dell’emergenza, nel cui spazio operativo si affermano le collusioni tra titolari di ruoli pubblici, professioni e imprese del settore».
Nei prossimi anni, la Sicilia ha in programma interventi per circa 860 milioni di euro destinati a opere di contrasto e mitigazione del dissesto idrogeologico. «Occorre una visione illuminata e una pianificazione coerente - conclude Castronovo- con gli obiettivi di adattamento ai mutamenti climatici e di mitigazione dei dissesti. E’ necessario quindi: mappare le aree a rischio; adottare e/o rivedere i piani territoriali e locali, calibrandoli sugli scenari ipotizzabili dell’evoluzione climatica; definire linee entro le quali vietare nuove opere, prevedere misure di delocalizzazione o adattamento delle strutture esistenti. E soprattutto, è fondamentale avviare subito una misura a costo zero: smettere di fare cose sbagliate».
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