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3 settembre 1982, Palermo sgomenta: 42 anni fa la mafia uccise il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Il superprefetto, nato a Saluzzo (Cuneo) il 27 settembre del 1920, ritornò a Palermo con procedura d’urgenza dopo avere affrontato la malavita del nord, la mafia siciliana e le brigate rosse. Era la sera del 30 aprile del 1982, poco dopo l’uccisione del segretario siciliano del Pci, Pio La Torre, terzo uomo politico assassinato nel giro di qualche mese dopo Piersanti Mattarella, democristiano, presidente della Regione siciliana, e Michele Reina, segretario della Dc palermitana. Ma durante i suoi cento giorni a Palermo non ebbe quei poteri speciali più volte inutilmente richiesti.
Quel venerdì di 42 anni fa sembrò davvero che fosse per sempre «morta la speranza dei palermitani onesti», come scrisse un cittadino del capoluogo siciliano su un lenzuolo nel luogo della strage. Durante i funerali, il cardinale Salvatore Pappalardo tuonò dall’altare usando le parole di Tito Livio: «Dum Romae consulitur... Saguntum espugnatur. Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata e questa volta non è Sagunto, ma Palermo! Povera Palermo nostra».
I mandanti e alcuni esecutori sono stati condannati all’ergastolo. Ma, come disse l’ex procuratore antimafia Pietro Grasso, «per gli omicidi eccellenti bisogna pensare a mandanti eccellenti». La loro ricerca sembra non avere fatto significativi passi avanti e l’unica verità giudiziaria è compendiata nelle sentenze di condanna per due sicari e per i vertici della cupola tra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco e Pippo Calò. «Si può senz'altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra - affermò la sentenza con cui nel 2002 la corte d’Assise inflisse l’ergastolo ai killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia - concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale».

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