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Messina Denaro e le sue 122 chiavi: che porte aprivano?

Continua l’inchiesta degli inquirenti per risalire alla rete di copertura che ha garantito la latitanza del boss. Il padrino si muoveva e viaggiava anche all’estero

La mafia in provincia di Trapani non è finita con la cattura e la successiva morte di Matteo Messina Denaro. Chi lo pensa sbaglia e di grosso.

Infatti se da un lato si lavora su tutto il materiale rinvenuto nella pertinenza del defunto boss, nei covi, nelle abitazioni dei familiari, delle amanti, dei favoreggiatori e di altri indagati, dall’altro lato l’attività investigativa delle forze dell’ordine, continua ancora. Si è sempre alla ricerca dei tanti personaggi, che per trent’anni, hanno coperto la latitanza in provincia di Trapani di “diabolik” u “Siccu”.

Dell’uomo che veniva idolatrato come un “Dio”, ma che in realtà era solo un sanguinario stragista. Insomma il lavoro investigativo sul territorio non è finito. Intanto però si continua a sistemare tutto il materiale rinvenuto in questi mesi in attesa di poter arrivare anche a quel “tesoro” che - si dice - era in possesso del boss e che sicuramente ha lasciato nelle mani di qualcuno.

Ancora oggi però continuano a lasciare perplessi i numeri delle cose rinvenute e sequestrate. Pizzini, lettere, cellulari, documenti, numeri, appunti di ogni genere, ma anche altro materiale ritenuto interessante ai fini delle stesse indagini come per esempio la quantità di chiavi. Contando le quattro chiavi che hanno portato in estate gli investigatori a Mazara del Vallo, fino al garage del condominio di Via Castelvetrano, pare che dal giorno della cattura di Messina Denaro a Palermo, siano state inventariate ben 122 chiavi. Viene da chiedersi quali altre porte aprono?

E in quante altre città si trovano le abitazioni dove insistono queste porte? È stato accertato infatti che il boss viaggiava tranquillamente. Non solo in Italia ma anche all’estero. Eludendo con facilità ogni tipo di controllo. La rete di protezione era massima e ovunque. A Roma, per esempio, è stato accertato che era amico di uno dei figli di Enrico Nicoletti (storico cassiere della banda della Magliana). Altro luogo visitato dal boss la Svizzera. E tra le tante altre cose strane rinvenute pure alcune lettere scritte da qualcuno che si trovava in carcere.

E a proposito di lettere anche quelle che il boss ha scritto alla madre Lorenza Santangelo, deceduta qualche giorno fa a Castelvetrano. «Mi dispiace», scriveva Matteo, in uno dei tanti appunti rinvenuti dagli investigatori dopo il suo arresto. Si definiva infelice per «non averti più rivista» e addolorato «che tu non abbia più visto me».
Su uno dei fogli sequestrati c’è una data: 2019. Sa quasi di lettera di addio, scritta a mano ma forse mai consegnata alla madre. In quella lettera il latitante utilizzava gli aggettivi “atroce” e “terribile” per descrivere “la sofferenza” di una «mamma” che “non può vedere più il proprio figlio».

Era come se stesse provando il distacco con la madre, e ne comprendeva lo stato d’animo, perché «da padre è successo anche a me» scriveva. In quel periodo ancora non c’erano rapporti con la figlia Lorenza che solo prima di morire il padre ha preso il suo cognome. E il boss chiedeva “perdono” all’anziana donna. Il suo ego mostrato anche in altri scritti qui lo spingeva a scrivere: «Sono stato quello che volevo», e a salutare la madre con «tutto il mio amore e il mio rispetto».

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