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Caso Regeni, l'affondo di Minniti: “Banda di finti rapinatori? Ce li hanno fatti trovare uccisi per depistarci”

Giulio Regeni

«Ho avuto la sensazione che la banda di finti rapinatori fatti ritrovare uccisi fu un modo per darci una finta verità, un metodo già usato con altri stranieri uccisi in Egitto che aveva funzionato. Un francese fu massacrato di botte in commissariato e la magistratura francese accettò la versione fornita dal Cairo. Noi invece mettemmo in chiaro che non avremmo accettato azioni di depistaggio». È quanto ha affermato Marco Minniti, all’epoca dei fatti sottosegretario all’autorità delegata, sentito come testimone nel processo per l'omicidio di Giulio Regeni.
Per il teste il depistaggio, messo in atto dopo il suo primo incontro con Al Sisi l’8 marzo del 2016, «fu un modo per coprire i Servizi egiziani e vista la mancanza di collaborazione decidemmo di richiamare l’ambasciatore. Siamo un grande Paese e un grande Paese non dimentica i propri cittadini che muoiono all’estero. Fui avvisato dopo alcuni giorni perché in Egitto sono frequenti i 'fermi non ufficiali' di cittadini stranieri. Il mio convincimento è che sono stati gli apparati egiziani ad uccidere Giulio e gli imputati sono i responsabili».

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