Anche la Commissione antimafia del Comune di Milano sottovalutò la questione ultrà, perché fu "indotta in errore" dai dirigenti dell’Inter, pure con "omissioni in mala fede". Con il club che «di fatto», quando si rapportava con Marco Ferdico, tra i capi del direttivo della curva Nord e ora in carcere, e cedeva «alle pressioni» di quest’ultimo che voleva «ottenere» altri biglietti per la finale di Istanbul del 2023, finanziava lui e gli altri: è il quadro che ha consentito agli ultrà nerazzurri legati alla 'ndrangheta dei Bellocco di «infiltrarsi nelle maglie della struttura societaria», per come viene descritto dai pm Paolo Storari e Sara Ombra nella richiesta di custodia cautelare che ha portato ai 19 arresti. Negli atti i pm mettono in fila quelle "'situazioni tossichè che hanno creato l’humus favorevole perché un ambito imprenditoriale sportivo si trasformasse, in fin dei conti, in occasione di illecito».
La Procura guidata da Marcello Viola ha aperto procedimenti di prevenzione sia sull'Inter sia sul Milan (non indagate), con l'obiettivo di mettere fine ad affari illeciti e violenze e di spezzare quei legami tra ultras, giocatori e dirigenti, attraverso prescrizioni che le società dovranno seguire. Si va dunque dal potenziamento dei controlli all’ingresso sui biglietti e sui posti a sedere assegnati, fino allo stop alle scene, viste troppo spesso, dei giocatori sotto la curva costretti o a consegnare le maglie ai capi ultrà o a subirne gli insulti.
L’audizione in Commissione comunale antimafia del 15 marzo di due responsabili dell’Inter viene descritta nelle carte come una situazione abbastanza indicativa di quel che era la realtà dei fatti. I due, dicono infatti i pm, hanno fornito «una rappresentazione scollata «dalla realtà dello stadio, non senza considerare alcune omissioni in mala fede». Pare "sottovalutata», scrive il gip Domenico Santoro, la «tematica We are Milano», «struttura formale dietro la quale si nascondono Beretta», altro capo ultrà, «e i suoi sodali». C'è «scarsa conoscenza» della «Kiss & Fly, società gestita di fatto da Gherardo Zaccagni e dal suo braccio destro Giuseppe Caminiti, che ha gestito i parcheggi allo stadio San Siro». Un rappresentante dell’Inter ha spiegato, tra l’altro, che l'attività «che interessa di meno alle mafie» è «quella di bagarinaggio». E’ sufficiente, scrive il gip, «riportare lo stralcio di un’intercettazione attinente alla vendita dei biglietti in occasione della finale di Champions». Conversazione nella quale i capi curva dicevano di arrivare a guadagnare fino a «200mila euro a testa» coi ticket.
I legali dell’Inter, scrivono i pm, il 30 aprile hanno depositato «una memoria» dove si limitavano «a ripetere» ciò che era stato detto «in sede comunale». Memoria da cui emerge «un dato di interesse: il Presidente della commissione comunale antimafia» con una email del 28 marzo «ha riferito a FC Internazionale che l’audizione ha 'mostrato l’azione positiva'" del club, cosa smentita «dai fatti» e che «comprova ancora una volta una totale sottovalutazione del fenomeno».
Per i pm, «la costante e sistematica violazione delle regole genera la 'normalizzazione della devianza'»: dalla «gestione dei biglietti (il cui ricavato va a favore di autori di gravi reati)» al «controllo degli ingressi allo stadio, gravemente carente e fonte di ulteriori guadagni» e pericoli. Situazione a cui è «necessario porre termine al più presto, anche perché pare francamente impensabile che una struttura imprenditoriale con un fatturato di centinaia di milioni di euro possa avere rapporti di carattere economico» anche «con un esponente di 'ndrangheta». Non si può «ragionevolmente pensare», concludono i pm, «che il problema possa essere risolto solo rimuovendo le figure apicali o semi apicali», senza «nulla mutare del sistema organizzativo».
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