Con 8 mesi di reclusione si chiude a Brescia il primo round del processo in cui i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro rispondono di rifiuto di atti d’ufficio. Sono stati ritenuti penalmente responsabili per non aver depositato atti favorevoli alle difese nel processo Eni/Shell-Nigeria, finito con un’assoluzione collettiva. In particolare avrebbero omesso di segnalare gli esiti di alcuni accertamenti sui comportamenti poco limpidi, fino a una presunta corruzione di testi, dell’ex manager della compagnia petrolifera Vincenzo Armanna, il grande accusatore da loro valorizzato come una delle "prove" contro i vertici del gruppo.
A decidere la condanna dei due pubblici ministeri, uno dei quali ora alla procura Europea, è stato il collegio del Tribunale, presieduto da Roberto Spanò, che nel riconoscere le attenuanti generiche ha disposto la sospensione condizionale e la non menzione, e ha stabilito che il risarcimento alla parte civile Gianfranco Falcioni, ex vice console onorario in Nigeria, da versare in solido con la Presidenza del Consiglio, sarà liquidato in seguito al giudizio civile. Inoltre le spese legali e di lite (8 mila euro) sono a carico dei due pm.
Infine è uscito dal procedimento il Ministero della giustizia citato come responsabile civile. La Procura aveva chiesto la stessa pena ma proponendo di non riconoscere la sospensione per il pericolo di recidiva. «E' un precedente pericoloso perchè mette in discussione un principio fondamentale che è quello della autonomia delle scelte processuali di un pubblico ministero», ha commentato Massimo Dinoia, il difensore dei due magistrati che alla lettura del dispositivo hanno preferito non essere presenti in aula. Nel caso specifico, ha sottolineato il legale, c'è il rischio di un "condizionamento dall’esterno dei processi».
In questo modo i pm "si sentiranno obbligati a depositare gli atti» ricevuti da "chiunque». «E' una sentenza giusta. I pm sono magistrati tanto quanto lo sono i giudici. Non possono e non devono nascondere le prove anche quando non sono favorevoli all’accusa», ha dichiarato, invece, l’avvocato Pasquale Annicchiarico, che assiste assieme al collega Filippo Schiaffino, Falcioni. I giudici bresciani, che in 45 giorni depositeranno le motivazioni, con la loro decisione paiono in linea con i pm Francesco Milanesi e Donato Greco e con il Procuratore Francesco Prete. I quali, come spiegato nella requisitoria, sostengono che i due pubblici ministeri avrebbero dovuto «adempiere agli obblighi che la legge impone», ossia non tanto «selezionare» gli elementi di prova ma depositarli tutti alle parti processuali.
Invece «con il loro comportamento omissivo», «nascondendo» atti favorevoli agli imputati, avrebbero leso il diritto di difesa. Secondo l’imputazione, tra febbraio e marzo 2021, De Pasquale, allora aggiunto e dallo scorso maggio retrocesso a pm dal Csm, e Spadaro, avrebbero omesso «volontariamente» di depositare alle difese e al collegio che doveva giudicare "informazioni, prima verbali e poi documentali», che avrebbero minato la credibilità di Armanna, e quindi l’esito del dibattimento. Informazioni segnalate loro dal collega Paolo Storari, assolto per un capitolo dei procedimenti che riguardano Eni, e che loro invece avrebbero 'nascostò. Un’accusa che i due pm di Milano hanno sempre respinto. Ora, per tanto, faranno appello contro la sentenza di primo grado.
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