Ok alla nuova legge "bavaglio": niente sanzioni ai giornalisti, ma sarà vietato pubblicare le ordinanze fino alla chiusura delle indagini preliminari
Niente nuove sanzioni ma sarà vietata la pubblicazione «delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare». Lo prevede il decreto legislativo, approvato oggi in Consiglio dei ministri, che era stato ribattezzato «legge bavaglio» dalle opposizioni e dalla Federazione nazionale della stampa. Il provvedimento, si legge, ha accolto le osservazioni delle commissioni parlamentari "solo in riferimento all’ampliamento del contenuto della norma, ma non all’introduzione di un nuovo apparato sanzionatorio». La stretta del governo sulle pubblicazioni dei giornalisti in ambito giudiziario ci sarà, ma potrebbe essere meno severa del previsto. Il decreto legislativo, pronto ad approdare nelle prossime ore per la seconda volta in Cdm, imporrà il divieto di diffusione del testo degli atti di custodia cautelare come era stato già disposto lo scorso settembre. Difficilmente invece gli atti sulle altre misure cautelari personali o le interdittive, saranno investiti da questo provvedimento, nato dopo un emendamento e ribattezzato "legge bavaglio» dalle opposizioni e dalla Federazione nazionale della stampa. Diverso sarebbe il discorso sullo stop alla diffusione dei contenuti di perquisizioni e sequestri, che di fatto sarebbe già contenuto nella legge vigente. Sembra però chiaro che in ogni caso la formula di secretazione stabilita sarà comunque la stessa decisa già due mesi fa: il testo preciso del documento diventa di fatto segreto e la stampa non potrà pubblicarlo, almeno finché non siano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. Nel caso della custodia cautelare sarà quindi pubblicabile soltanto il contenuto dell’atto, senza poterlo citare tra virgolette, e potrà essere fedelmente riportato solo il capo di imputazione per esteso. La modifica riguarda l’articolo 114 del codice di procedura penale ed era stata decisa diverso tempo prima in Parlamento, quando il Senato approvò l’articolo 4 della legge di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva europea. A dare l’avvio all’iter fu un emendamento del deputato Enrico Costa (ex di Azione e ora in Forza Italia), durante il passaggio alla Camera. Poi il decreto legislativo è passato una prima volta al vaglio dei ministri nel settembre scorso per essere in seguito sottoposto alla lettura e agli eventuali suggerimenti, non vincolanti, delle due commissioni Giustizia di Camera e Senato entro sessanta giorni. Proprio le indicazioni arrivate dalle commissioni puntavano a stringere ulteriormente le maglie: la maggioranza, assieme a Italia Viva, aveva chiesto di estendere ulteriormente il divieto a tutte le altre ordinanze prevendendo inoltre multe per i giornalisti e non solo agli editori (fino a 500mila euro). Ma il governo non ha accolto le proposte e messo un freno innanzitutto sulle sanzioni troppo alte ai cronisti. Non si può escludere comunque che le multe possano essere inserite nel disegno di legge sulla diffamazione fermo al Senato. È certo che a breve le modalità dei contenuti giornalistici, riguardo alle inchieste giudiziarie, cambieranno: si torna indietro rispetto a quanto stabilito dalla riforma del 2017 dell’allora ministro Andrea Orlando, secondo cui quelle ordinanze sono pubblicabili senza limiti.